Violenza sulle donne. Una questione culturale, un problema di mentalità, di educazione. In questi giorni piangiamo la centesima donna, dall’inizio del 2012, ad essere uccisa dalla furia omicida di un uomo. Non è un numero, né un’emergenza momentanea: è la storia di un massacro che si ripete, che spezza l’ennesima vita, agnello sacrificale di una logica perdurante e diffusa di sopraffazione. Mentalità, cultura, diseducazione al rispetto della donna, elementi marci inoculati nella corteccia cerebrale maschile, senza particolari variabili di età o livello sociale. Uno sciame di vocazioni omicide, partorite dall’aberrante e totalizzante logica del possesso, del dominio, del controllo. Un egoismo assassino, un’applicazione sanguinosa del bullismo e dell’individualismo maschile, che tutto pretende e tutto pensa di poter stabilire. L’effetto tangibile dell’abominio culturale, dei modelli sfornati dalla tv, dai padri, dai fratelli, dagli amici, da chiunque ragioni per schemi ancestrali di violenza, celata dietro l’apparente leggerezza di una battuta, dentro la forma ruvida del linguaggio, o sotto il tappeto impolverato di gesti che non cambiano, non smettono di riprodurre orrori, di sollecitare morte, fisica o psicologica che sia.

Oltre a quello culturale-educativo, c’è però un altro elemento che andrebbe messo sullo stesso piano e che viene troppo spesso sottovalutato: la legge, che dovrebbe essere certa, severa, esemplare. Perché ad esaltare la prepotenza del più forte c’è l’impunità, ci sono le debolezze di norme che non danno la garanzia di prevenire la violenza, tutelare le vittime, scoraggiare i carnefici, c’è quella odiosa sensazione che, in realtà, nemmeno gli uomini più illuminati e sensibili si rendano davvero conto di quanto sia oscena questa violenza e di quanto sia ingiusto e blasfemo il trattamento che la società riserva alle donne. Per tale ragione, la legalità diventa un principio fondamentale, una barriera da piazzare dinnanzi alle porte di uscita dei tribunali, alle scorciatoie fatiscenti delle difese, alle buone condotte, alle presunte incapacità di intendere e di volere, ecc. Non è più possibile anteporre i giochetti legali alla dignità della giustizia, alla vita e ai diritti delle donne, al loro dolore ed a quello dei loro cari. Ovviamente, prima di ciò, occorre ancor più lavorare sulle garanzie della vittima prima che si compia il delitto finale.

La legge sullo stalking appare già insufficiente, scarsamente applicata e inadatta a gestire le paure, le angosce di chi subisce, ma soprattutto inadeguata a quantificare il grado di pericolosità del persecutore. Chi ha logiche di dominio e di possesso nei confronti di una donna deve avere la certezza innanzitutto di una sanzione preventiva asfissiante e severa, quindi di una punizione successiva esemplare e durissima, che non lasci alcuno spazio alle attenuanti. Uno stupro così come un omicidio (a parere di chi scrive i reati si equivalgono, sempre che abbiamo ancora un briciolo di coscienza per guardare il mondo dal punto di vista di una vittima) vanno puniti con pene identiche, con la previsione anche dell’ergastolo, altrimenti non si darà mai un segnale di stop alla violenza e non si potrà mai veramente dare fiducia e speranza a chi prova a cambiare culturalmente il rapporto uomo-donna. Inutile piangere, lamentarsi, vivere l’amarezza bruciante che ci mangia fegato e stomaco ogni volta che abbiamo notizia di un assassinio compiuto da un uomo o da un ragazzetto, che un giorno decidono di ergersi a destino di una donna e ne decretano la fine con la stessa rapidità e leggerezza con cui gettano in terra una sigaretta e la schiacciano per spegnerla del tutto.

Inutile sbraitare dinnanzi alle farneticanti parole di un genitore che difende il proprio figlio, lo deresponsabilizza ancora una volta, cominciando quel triste percorso di recupero che magari, tra qualche anno, a fari spenti, con una buona condotta e qualche sostanzioso sconto di pena può aprire la porta di uscita del carcere del proprio fanciullo, a cui poi donare un facile perdono. Non è questione di giustizialismo, ma di giustizia. Non si tratta di annullare le garanzie processuali e di legge, la presunzione di innocenza ed altro, ma di inasprire le sanzioni, partendo dalla prevenzione, perché è evidente che in Italia il reato legato alla violenza di genere è poco percepito. Eppure le vittime sono già cento in questo 2012, numeri che sono eloquenti, cifre da guerra di mafia, di organizzazioni criminali e che, invece, sono il frutto di violenze private, a volte frutto di raptus, molto più spesso premeditate, orchestrate, pensate e attuate con cura dei dettagli.

Combattere questo orrore solo culturalmente non basta. C’è bisogno anche di certezza e di gravità della pena. E di un saldo sistema di prevenzione. Perché il sangue che scorre va fermato, così come vanno stanati e puniti gli orchi silenziosi che strangolano la vita e la serenità di centinaia di migliaia di donne, a cui bisogna rendere possibile e meno arduo reagire, difendersi, denunciare. Perché di uomini che odiano le donne ce ne sono troppi e troppe volte si nascondono dietro facciate normali e insospettabili. Solo quando scorre il sangue riusciamo a scorgerne i tratti, ma un Paese civile ha bisogno di arrivare in tempo e di tutelare il diritto alla vita e alla libertà dalla sopraffazione, dalla violenza e dal dolore. Sarebbe ora che la politica smettesse di giocare sul tema e ponesse riparo a questa terribile mancanza, colmata alla meno peggio, spesso proponendo obbrobri inaccettabili. Perché permettere che centinaia di migliaia di persone vivano nella costrizione e nella paura, vuol dire ammettere di avere una democrazia drogata e falsa. Una rappresentazione macro di un microcosmo di schiavitù.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org