Il precariato in Italia continua a crescere nonostante le promesse dell’attuale governo di realizzare un mercato del lavoro “inclusivo e dinamico”. Le giovani generazioni sono quelle più colpite da un fenomeno che rischia di compromettere a lungo termine il nostro mercato del lavoro e di ostacolare la crescita e l’innovazione tecnologica dell’intero Paese. Il gruppo Datagiovani ha pubblicato pochi giorni fa un rapporto “allarmante” sul precariato.  

Datagiovani è un’organizzazione nata nel 2010 che si propone come “sindacato dei giovani italiani”, “un ambiente virtuale in cui dare spazio e voce ai giovani e, perché no, dare suggerimenti e presentare proposte perché il Governo centrale e quelli locali facciano di più per coloro che non solo dovranno sostenere l’economia di domani ma anche farsi carico delle problematiche di un Paese sempre più vecchio”.

Secondo il rapporto, basato su dati Istat, dal 2004 l’incidenza del precariato nel mondo del lavoro italiano è aumentata del 6 per cento, con una crescita in termini assoluti di quasi 1 milione di unità. Nel primo semestre di quest’anno, i precari rappresentavano ben il 16% del totale degli occupati, una percentuale che corrisponde a ben 3,5 milioni di persone.

Il precariato è particolarmente accentuato tra gli under 35, le donne e gli stranieri. Anche il titolo di studio influenza il fenomeno: chi si è laureato in materie scientifiche, come ingegneria, architettura e scienze mediche, ha una probabilità di diventare precario nettamente inferiore a quella di chi proviene da facoltà umanistiche.

Il dato più preoccupante è però lo stipendio percepito dai precari: dal 20 al 33% in meno rispetto alla retribuzione media netta mensile di un collega con “contratto stabile”. Non è un caso quindi che sempre più giovani italiani siano disposti a trasferirsi all’estero per cercare fortuna. E non si tratta solo dei cosiddetti “cervelli in fuga”, ma di “nuovi emigranti” che per svolgere anche i lavori più umili sono pronti a espatriare. Secondo le rilevazioni di Datagiovani, infatti, un terzo dei giovani italiani si trasferirebbe all’estero per trovare un impiego.

Naturalmente questo non avviene, anche perché la crisi economica europea oggi scoraggia i trasferimenti dall’Italia verso gli  Stati vicini. Rischiamo però che, una volta finita la crisi e in assenza di politiche opportune per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e per la lotta al precariato, il nostro diventi un Paese di pensionati.

G. L. -ilmegafono.org