“La Basilicata non esiste”. Il luogo comune sbeffeggiato nel film Basilicata coast to coast da Rocco Papaleo deve essere stata una delle molle che ha fatto scattare questa storia. Perché le storie hanno sempre qualche luogo che le circonda o le anima. Allora prendete uno spillo e piazzatelo sul malleolo nascosto sotto il nostro Stivale. Da quelle parti, noi, John Wayne maccheroni e melanzane sott’olio degli anni 10, inciampiamo nelle radici di una musica interessante. Ma una storia ha anche dei personaggi. Qui sono in cinque, insieme si fanno chiamare Le Mani, da soli sono Antonio Marcucci, che con le mani suona la chitarra, Luigi Scarangella, che ci mette la voce, Francesco Stoia, che pizzica il basso, Angelo Perna, che accarezza i tasti, e Marco Pisanelli, che scuote la batteria. Di mestiere suonano, si capisce, e per la strada arrivano a Roma, senza il cavallo bianco del film, ma cercano lo stesso di dargli un senso. Ora, le storie vere son fatte di suoni e allora val la pena di pescare l’ultimo lavoro dei cinque: “Settembre”.

Al di là della data di uscita (17 ottobre), questo mese, come la Basilicata, è “uno stato d’animo”. Dentro ci sono 12 tracce e collaborazioni che saltano agli occhi, come ne Il lago, cantata con Federico Zampaglione. Ma procediamo per fasi e per pezzi. Filo conduttore: una bella intro secca, ruvida, spesso elettronica, per mettere il cuore in risonanza con la musica; delle belle frasi che dicono e non dicono e ti carezzano con la carta vetrata le convinzioni; rock genuino schizzato d’elettronica e umana disperazione. Pronti? In un campo di ortiche ci culla con una intro da fiaba per poi lanciarci addosso una bella batteria rock su prati di assolo di chitarra. “Nel mio immaginario eri libellula tra vomito e mosche”: così, dritto al cervello questo verso nell’universo distorto di natura onirica umanizzata ci riporta alla realtà.

Forse il campo di ortiche è la vita e “in un campo di ortiche l’unica salvezza resta mettersi in disparte aspettando che sfioriscano”. Il lago (http://www.youtube.com/watch?v=JxULnsvoK0A) ci accoglie con degli effetti di gran gusto. La voce di Zampaglione è acuta e particolare proprio come quella di Luigi Scarangella: “Il lago era grande e tu di nuotare non vedevi l’ora e invece io per la paura di affogare credevo di desiderare il mare”. Tra slanci e pragmatismo combattiamo tra i baffi di Nietsche e il cemento delle città. Andarsene? “Qui non è più posto per noi…Fuori da qui un uomo grida rifugiatevi” (Fuori da qui), non ci sono vie percorribili e un sound di batteria Bloc Party ci conferma che è così dappertutto. E allora a testa bassa, perché “ogni respiro preso e ridato sarà una voce che non dimentica”.

Ancora avanti, convinti delle scelte come un vampiro vegetariano (Confessioni di un vampiro vegetariano), bellissima immagine per descriversi e “sentirsi liberi dai legami con l’oscurità”. Non crediamo che sia facile, “la cura ormai è piena di controindicazioni” (La Scatola). Il senso compiuto si coglie ne Il cubo di Rubik. Anche se con quel sound lì potrebbero cantarci anche la lista della spesa, c’è tutta la consapevolezza di cui hai bisogno per svegliarti la mattina e prendere un tram: “Nella vita ho avuto più fortuna mentre dormivo mentre non pensavo perché nella vita ci vuole sempre l’occasione in più per tirarsi su”. D’altronde “ogni traguardo è sempre in cima a una salita” e sarebbe davvero bello “poter planare e non scalare questa vita” (La salita).

La forza di Quel che vuole e che ha ci convince che tutto ciò ha un senso. Sei uomo: “Ho un’attrazione senza pari per la noia e le difficoltà e non c’è giorno che io non sbagli e non c’è notte che io dorma come dorme chi sa sempre quel che vuole e quel che ha. Sono Nobili Vertigini (spettacolare un’intro così: essenziale e coinvolgente) e “non è l’immagine di un Dio che ti fa stare bene ma è l’attesa di un grande salto che ti fa sentire della vita anche il più piccolo odore”. Sì, Milady Italia, “qui va tutto male ma qualcosa inventerò”. Questo spirito rock di forza, volontà e grinta comincia a scorrere nelle vene e dà una grande forza. Una forza che profuma di basilico e pasta al pomodoro e non del banale americanismo dell’uomo fatto da sé. La maturità della costruzione di questi pezzi, soprattutto nei testi, il sound che sa innovarsi premiano questa band.

I traguardi già raggiunti (tra cui la partecipazione all’Heineken Jammin Festival) sono l’ulteriore conferma di quanto bene si possa fare con una bella dose di umiltà e competenza. Consigliamo a molti di prendere appunti e studiarsi la storia di questa band. Prendere tutti il nostro cavallo bianco e iniziare a camminare. Come tutte le storie, alla fine, cerchiamo una morale. Come scriveva Esopo “O mythos deloi oti” (alla buona “la storia insegna che”), bisogna cercare la vita in cima alla salita, oppure basta percorrerla? Le risposte sono lassù.

Penna Bianca –ilmegafono.org