Un supermercato, il solito bip che batte incessante e il registratore di cassa che memorizza i prezzi, prima di sputare il pezzo di carta che dà un valore numerico alla tua fame. Una sera come tante, una scena che si ripete nella sua ossessiva banalità, in un supermercato come tanti. Prendi le tue buste, imbracci la confezione d’acqua pensando con convinzione che la maledetta striscia di carta che funge da manico sia l’invenzione più inutile nella storia dell’umanità. Stai per allontanarti dalla cassa, diretto verso l’uscita, quando senti un suono che stride, un tono di voce più alto di quello che sei abituato a sentire in quel quadro così ripetitivo. Una voce ferma, severa, nervosa: “Venga con me signora, venga! Che ora vediamo cosa ha preso!”. Qualcuno parla, agitato, dietro uno scaffale che copre ciò che effettivamente sta avvenendo: dal modo in cui altri guardano ti rendi conto che è qualcosa di insolito. Passa poco tempo e quella voce ha un volto. Appartiene a quel signore solitamente distinto e silenzioso che ogni tanto si mette anche alla cassa, quando c’è confusione. Non lo hai mai sentito urlare. Di solito tutti i dipendenti si rivolgono a lui, è il proprietario o il direttore o, comunque, colui che gestisce il supermarket.

Dietro di lui, con il viso un po’ smarrito e lo sguardo basso, una signora anziana, avrà circa 70 anni. Capelli grigi, occhiali da vista grandi, un impermeabile e un paio di scarpe qualsiasi. La portano ad una cassa, il tipo che parlava prima continua a tenere la voce alta e ferma (“Venga con me signora! Che ora vediamo!”) e in mano stringe la sporta arancione della donna. Una cassiera, quella più vicina a me, spiega a una cliente e ad un’altra cassiera che la signora ha rubato e non è la prima volta. Una dipendente, con sguardo sdegnato  borbotta: “Pazzesco, sono irriducibili!”. Non mi muovo, osservo, vedo che la gente in silenzio guarda la scena, scorgo la signora vicino all’ultima cassa, sempre con il direttore/gestore/proprietario o giù di lì. Non resisto, il mio carattere impulsivo lotta con la mia ragione, che mi dice, questa volta, di andare via, per evitare che il mio nervosismo possa diventare aggressivo nel caso di una risposta sbagliata. Da un po’ di giorni mi ripetono che devo muovermi a mente fredda, lasciando perdere gli impulsi. Per una volta obbedisco. E oggi non sono convinto sia la cosa migliore.

Tornato a casa, condivido il mio sfogo attraverso un post su facebook e scopro che altri hanno vissuto episodi simili, che questa non è una scena insolita in un supermercato e che i modi di agire dei vigilanti o dei titolari del negozio spesso sono anche più violenti. Leggo di una donna rom sordomuta cacciata via per aver tentato di rubare uno yogurt del valore di 1 euro, apprendo di un giovane straniero portato in questura per aver tentato di rubare un paio di slip, un dentifricio e un po’ di formaggio. Ricordo, all’improvviso, altri episodi accaduti un po’ ovunque e letti sui quotidiani locali o nazionali. Mi fermo, cerco di capire cosa siamo diventati e se siamo sempre stati così. Mi rispondo che siamo nel mondo dell’individualismo spinto e del denaro che è legge assoluta. Che siamo nel mondo in cui chi ha cerca di tenersi anche le briciole e chi non ha è costretto ad elemosinarle o a rubarle per poter mangiare qualcosa.

E mi rispondo che forse non siamo sempre stati così, che questa società capitalista e globalizzata ha semplicemente capitalizzato la miseria su scala mondiale, ha reso profitto la povertà della maggior parte del pianeta. Così oggi protegge quel profitto, in grande come in piccola scala, sullo scenario mondiale come in quello nazionale, locale, di quartiere, negozio per negozio, casa per casa. Mors tua vita mea, un principio di sopravvivenza che non regola duelli ad armi pari, ma assalti spietati ai danni di chi non può nemmeno pretendere di vivere. Anche il nostro Paese ha smarrito ogni senso di umanità e di rispetto, ha cancellato o quantomeno sfumato i contorni di quella solidarietà che, in tante occasioni, in passato, ha saputo mostrare e offrire. Ci sono troppi terreni in cui si semina odio verso tutto ciò che non corrisponde al convenzionale, al “socialmente condiviso”. Dentro la freddezza di una regola si nasconde l’indifferenza per una condizione umana, in un momento difficile.

Tra gli scaffali di un supermercato si celebra il rituale ottuso di una società che traspone sul piano dei rapporti quotidiani la diseguaglianza dei rapporti globali. Un rituale fatto di reazioni attese e di toni accesi, giustificati agli occhi dei più perché socialmente riconosciuti. Ma, al di là di una difesa del principio legale, mi chiedo che senso ha umiliare una signora anziana che probabilmente è costretta a rubare per mangiare qualcosa, perché magari la pensione è misera? Perché non chiederle le ragioni del suo gesto e possibilmente rinunciare a 10 euro di incasso dandole qualcosa da mangiare per la cena? Perché non chiederle le generalità e segnalare a una parrocchia, alla Caritas, ai servizi sociali del Comune la sua situazione di indigenza? Lo stesso vale per un ragazzo straniero che ruba un dentifricio e un pezzo di formaggio e per una zingara che prende uno yogurt da 1 euro. Se non possiamo pretendere che i supermercati diventino mense gratuite, possiamo almeno chiedere che non diventino l’ufficio denunce di una questura o un luogo nel quale l’umanità è accetta solo quando può strisciare un bancomat o staccare un assegno? 

Massimiliano Perna -ilmegafono.org