Disastro ambientale. Due parole colme di significato, poche sillabe che racchiudono in sé tutti i disagi di una città che per decenni è stata martoriata da una criminosa attività industriale fuori controllo. In quelle due semplici parole sono racchiuse le centinaia (o forse è meglio parlare di migliaia) di tarantini (non sempre adulti) che nel corso dei decenni hanno perso la salute e spesso purtroppo anche la vita a causa dell’eccessivo tasso di inquinamento della loro zona, il dolore dei familiari degli operai del grande stabilimento siderurgico morti sul lavoro per le precarie misure di sicurezza adottate, la preoccupazione di tutte le madri che nel tempo hanno cominciato a considerare quasi una scelta egoistica fare un figlio a Taranto. Sì, perché i loro bambini, se non nascono già con gravi patologie, corrono continuamente il pericolo di contrarle dal momento che si nutrono di latte materno alla diossina, vivono in abitazioni i cui balconi sono spessissimo infestati dalla velenosa e maleodorante polvere rosa proveniente dalle ciminiere e, quando giocano all’aria aperta come tutti i loro coetanei, respirano e toccano “veleno”.  

Nel corso degli ultimi anni in questa città, che un tempo era una delle fiorenti perle della Magna Grecia, si è andata progressivamente formando un’invidiabile coscienza sociale, sempre più cittadini si sono attivati ed organizzati in associazioni e comitati per riconquistare un diritto che (è bene ricordarlo) è costituzionalmente garantito: il diritto alla salute. Realtà come il Comitato Donne per Taranto ed il Comitato Taranto Futura sono state molto importanti, promuovendo non solo attività divulgative ma anche azioni più concrete: se il secondo si è occupato di  avviare la raccolta firme per l’indizione di un referendum consultivo sull’ipotesi di chiusura totale o parziale dello stabilimento, il primo si è assunto l’onere di redigere il dossier “Salvate i nostri bambini”, che, consegnato al sindaco ed alle altre autorità competenti, richiedeva l’avvio di una seria indagine epidemiologica per verificare la correlazione malattie-morte/inquinamento.

Le iniziative di questi e di tutti gli altri comitati-associazioni del tarantino hanno attirato l’attenzione dei media dapprima locali e poi (finalmente) nazionali, riuscendo a rompere il muro del silenzio che da decenni si ergeva solido su questa deprecabile vicenda. E finalmente il tanto atteso cambiamento è arrivato. Anche se con moltissimi anni di ritardo, sono state prese delle misure a tutela della salute di chi a Taranto ci è nato e vuole continuare a viverci ma senza avere più paura di mangiare carne, verdure o prodotti caseari locali (trovati contaminati da diossina) o anche solo di respirare. Lo scorso 26 luglio il gip Patrizia Todisco ha infatti disposto il sequestro preventivo (senza facoltà d’uso) dei sei impianti dell’area a caldo dello stabilimento Ilva di Taranto e la misura cautelare degli arresti domiciliari per otto dirigenti ed ex dirigenti, tra i quali Emilio Riva, a capo dello stabilimento sino a maggio 2010, ed il suo successore, il figlio Nicola, dimessosi dalla carica due settimane fa.

Le accuse a loro carico (chiaramente a vario titolo) sono gravissime: disastro ambientale doloso e colposo, omissione dolosa delle cautele contro gli infortuni sul lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose. Nell’ordinanza il gip Todisco scrive: “L’imponente dispersione di sostanze nocive nell’ambiente urbanizzato e non, ha cagionato e continua a cagionare non solo un grave pericolo per la salute (pubblica)”, ma “addirittura un gravissimo danno che si è concretizzato in eventi di malattia e di morte”. “Chi gestiva – continua il giudice – e gestisce l’Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza”. Avverso tale provvedimento l’Ilva ha presentato un ricorso che sarà esaminato il prossimo 3 agosto dal Tribunale del riesame di Taranto.

Al momento è impossibile prevedere quali decisioni prenderanno in tale sede i magistrati ma una cosa è certa: per qualche giorno i cittadini di Taranto, in particolar modo gli abitanti del quartiere Tamburi (che dista appena 15 passi dallo stabilimento siderurgico), respireranno un’aria più pulita. Più pulita, meno maleodorante, eppure non aria di vittoria. Il sequestro, se soddisfa quanti negli ultimi anni hanno lottato perché il diritto alla salute divenisse una priorità nella loro città, ha suscitato la (comprensibile) rabbia delle migliaia di operai impiegati nelle aree a cui sono stati apposti i sigilli e che rischiano di perdere il proprio lavoro. Dal momento del sequestro gli operai hanno avviato forti azioni dimostrative bloccando il ponte girevole, la statale 106 jonica che collega Taranto a Reggio Calabria, la statale 100 che collega Taranto a Bari ed i due ingressi alla città. Hanno inoltre predisposto presidi all’esterno dello stabilimento, mentre i sindacati Fim, Fiom e Uilm, intanto, hanno proclamato uno sciopero ad oltranza. Si è svolta inoltre davanti alla Prefettura una manifestazione che ha registrato momenti di elevata tensione.

Cosa del tutto comprensibile considerando che Taranto in questo momento è divisa a metà tra chi dà priorità alla salute e chi cede ancora all’antico nemico: “il ricatto occupazionale”. Due fazioni, ambientalisti ed operai, due posizioni nessuna delle due facilmente criticabile: se è ingiusto giudicare dei padri di famiglia che temono di non poter più offrire nulla ai propri figli, di perdere, da un momento all’altro il proprio, seppur pericolosissimo, lavoro, risulta difficile dare torto anche a chi obietta chiedendo “a che serve uno stipendio se poi si rischia di spenderlo in chemio o bare?”. “Questo è un momento di emozioni contrastanti – ha dichiarato Rosella Balestra del Comitato Donne per Taranto, da noi interpellata –  perché da un lato c’è la soddisfazione per vedere finalmente tutelato il diritto alla salute (onore alla Magistratura!) e dall’altro la sofferenza e la fatica perché sembra svanire il diritto al lavoro (vergogna alla politica e allo Stato!). Ma questa città deve essere tutta unita”.

L’ eco sentinella che ha invitato tutti ad offrire il proprio sostegno agli operai (anche solo offrendo loro dell’acqua fresca o un po’ di sostegno morale) ha invitato i propri concittadini a non giudicarsi reciprocamente. “Noi non siamo contro gli operai – ci ha spiegato – loro sono le prime vittime di un sistema malato che li ha usati, strumentalizzati e spremuti fino alla fine”. “Quello alla salute e quello al lavoro – ha continuato – sono diritti inalienabili che vanno tutelati entrambi. Ora la città si unisca senza cadere nelle facili strumentalizzazioni dei soliti politici e dei furbi inquinatori che vogliono continuare a vederci divisi. Si lotti e si lotti finalmente insieme”.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org