“E poi la gente, perché è la gente che fa la storia…”, cantava De Gregori in una sua memorabile canzone. Il problema è capire oggi dove si trova questa gente, perché non scende in piazza, di cosa ha bisogno per essere spinta a mobilitarsi in massa, visto che non è sufficiente nemmeno il massacro sociale che il mondo politico (o “tecnico”) sta compiendo sui diritti e sui pilastri portanti della società italiana. Qualche giorno fa, a Milano, nei pressi della Prefettura, ho assistito all’assemblea sindacale dei lavoratori dei vari comparti del settore pubblico, vale a dire i dipendenti statali, quelli che Brunetta chiamava fannulloni e la Fornero e Monti vedono come il problema della mancata crescita della nostra economia. Proprio loro, quelli che i cittadini, nei loro discorsi da bar, ormai hanno imparato ad etichettare come scansafatiche, parassiti, privilegiati protetti dai sindacati, vero freno per il nostro progresso. La situazione è difficilissima, perché è ancora una volta a loro che dall’alto si vuole far pagare il prezzo della crisi.

Misure ingiuste, pesanti, discriminatorie nei confronti dei lavoratori di tutto il comparto pubblico, interventi che sono la conseguenza di una campagna scientifica e progressiva di screditamento agli occhi dell’opinione pubblica. Il governo Monti sta per compiere quello che Brunetta aveva potuto solo enunciare. Le sigle sindacali, invece, al contrario, si sono fermate ad enunciare ciò che avrebbero già dovuto compiere: lo sciopero generale. Ne hanno parlato in tanti, all’assemblea, dove praticamente ognuno degli intervenuti ha ribadito la necessità di andare allo sciopero. Tutti d’accordo sull’iniquità dei provvedimenti studiati e previsti dal governo, tutti concordi sulla necessità di tagliare i tantissimi sprechi ad ogni livello, dalle consulenze agli stipendi d’oro, dalle autoblu al numero di parlamentari e, infine, tutti consapevoli che l’unico strumento di difesa e di rivendicazione sia quello della mobilitazione generale e unitaria.

Perfetto. Ma perché non prima? Perché non quando il governo aveva già lasciato intendere che avrebbe compiuto un’azione energica sul settore della pubblica amministrazione? La sensazione, ovviamente del tutto personale, è che ci sia molto smarrimento, troppa dispersione ed una deprimente penuria di leader illuminati. Basti pensare che nessuno dei rappresentanti delle organizzazioni di categoria ha avuto il coraggio di far notare che ci fosse poca gente, una scarsa partecipazione che è sintomatica di come la lotta non abbia attecchito nemmeno sull’insieme dei lavoratori del settore, i quali probabilmente si dividono tra distratti, delusi e rassegnati. Non era uno sciopero, ma un’assemblea, che precedeva la discussione, in Consiglio dei ministri, del testo sulla “revisione della spesa pubblica”.

Un momento importante per comprendere meglio le conseguenze che il provvedimento governativo comporterà sui lavoratori e, infine, per decidere che strade intraprendere, seppure con un certo ritardo. Eppure, nonostante la rabbia della gente, certificata anche dalle ultime, recenti scelte elettorali, non si è vista la folla che ci si poteva attendere da una riunione che metteva insieme tutte le sigle e i dipendenti della pubblica amministrazione. Da qui bisognerebbe iniziare, da questo assunto un leader sindacale illuminato dovrebbe partire per comprendere cosa non va, guardando al proprio interno, interrogandosi su ciò che si è fatto o che non si è fatto, sui tempi impiegati per organizzare la mobilitazione, sul livello qualitativo delle informazioni e della comunicazione interna, oltre che su un punto che, forse, solo uno dei relatori ha toccato: l’elemento culturale.

Quello che le organizzazioni sindacali del comparto pubblico devono affrontare immediatamente è il problema di un’immagine stereotipata che si sta sovrapponendo con una certa imponenza alla realtà concreta del settore. L’idea, prima alimentata da Brunetta e ora ripresa e rilanciata da Monti e dalla Fornero, che nel pubblico ci sia solo gente inetta che non vuole lavorare e che non svolge al meglio la propria funzione, divenendo solo un peso per le casse dello Stato: una falsità enorme che va smentita e combattuta, perché è l’arma che chi governa utilizza per giustificare le proprie azioni di restrizione dei diritti ottenendo il consenso dei semplici cittadini. La distorsione del sistema, la presenza di elementi che rispondono all’identikit del dipendente pubblico sfaticato, viene spacciata per la normalità, per la consuetudine, oltraggiando quella moltitudine di lavoratori che, quotidianamente, svolgono il proprio dovere, erogando servizi fondamentali a tutti i cittadini.

Le devianze, che esistono in ogni settore (a partire dalle istituzioni rappresentative…), vengono utilizzate come quadro o specchio di un’intera categoria di persone e forniscono l’alibi a chi, con scaltra arroganza, vuole uccidere il welfare e colpire il mondo del lavoro. Gli statali sono il bersaglio, il capro espiatorio da sacrificare, contando su una lenta mobilitazione e su un discreto consenso della popolazione, ammaestrata da chi fa leva sul fatto che ognuno di noi, almeno una volta, ha avuto un’esperienza negativa in un ufficio pubblico. Una strategia che si ripete. Ai tempi dell’offensiva Marchionne contro i lavoratori della Fiat, mentre a Pomigliano si combatteva duramente, qualcuno pensò bene di far uscire la notizia di un gruppo di operai di Termini Imerese che si erano resi protagonisti di un episodio di assenteismo sfacciato. Solita tecnica di deformazione del consenso.

Su questo i sindacati di categoria dovrebbero dar vita ad una battaglia durissima, fatta di monitoraggio e di prese di posizione dure, nette, eclatanti. Smentire ciò che è menzogna, informare, raccontare di tutti i lavoratori che garantiscono servizi ed efficienza nonostante spesso lavorino in condizioni difficili o precarie. Evitare di proteggere coloro che sono palesemente carenti sul lavoro. Coinvolgere la gente, spiegare ai cittadini cosa vuol dire, per tutta la nazione, colpire il comparto pubblico, uffici, servizi, scuole, università, ospedali. Accanto a tutto questo, poi, c’è bisogno urgente di svegliarsi, di smettere di discutere e trattare. Impariamo dai francesi, facciamo come loro per una volta.

Sento spesso dire: “Ah, i francesi sono un’altra cosa, quelli se gli toccano i diritti bloccano un paese anche per due settimane! E scendono in piazza tutti insieme!”. Davvero non siamo in grado anche noi di “fare i francesi” e far vedere che, quando vogliamo, sappiamo essere europei? I lavoratori chiedono lo sciopero generale. Sarebbe ora di ascoltare le loro esigenze, lasciando perdere le convenienze politiche e la paura di andare contro qualche partito filogovernativo da cui sarebbe ora che qualche sindacato si distaccasse definitivamente…

Massimiliano Perna –ilmegafono.org