È molto difficile sentirsi parte dello Stato, avere chiaro e spiegare il concetto di rispetto delle istituzioni e delle regole, quando avvengono certe cose. È altrettanto complicato far comprendere che non bisogna generalizzare gli elementi negativi di un apparato statale, quando poi accade che uomini di quell’apparato mostrano di essere dei criminali incalliti, assassini e privi di qualsiasi forma di rispetto per le vittime dei loro crimini. Da sempre non partecipo al coro di chi attacca le forze dell’ordine e le offende ad ogni occasione, in quanto so bene che un corpo di polizia è fatto  anche da persone come me, gente che ha un forte senso della giustizia, ragazzi semplici. Ho molti amici tra le forze dell’ordine, a vari livelli e in vari ambiti, e sono persone serie che mai userebbero violenza su qualcuno.

Detto questo, però, di fronte alle violenze commesse da uomini in divisa è da stupidi negare l’esistenza di una parte marcia all’interno dei corpi di polizia, che va spazzata, punita, sradicata senza tentennamenti. Il caso di Federico Aldrovandi è esemplare. Il pestaggio, l’uccisione di quel ragazzino sembravano aver esaurito la sequenza di un orrore consumatosi alle prime ore di un mattino di settembre del 2005. L’orrore, invece, è proseguito con le infamie sul conto di Federico, sul suo stato di alterazione, sulla sua aggressività, come se, in ogni caso, fossero elementi tali da giustificare un pestaggio così violento, un massacro feroce compiuto da ben quattro poliziotti. E poi le solite bugie, i consueti tentativi di insabbiare tutto, facendo passare la morte del ragazzo per un malore dovuto all’assunzione di un pericoloso mix di alcol e stupefacenti.

Già, perché in Italia, ogni volta che ci sono di mezzo degli assassini in divisa, si prova a far passare tutto per malore, come se le ecchimosi, le ferite, le tumefazioni, le fratture spuntassero da sole sulla pelle, sul cranio, sulle ossa della vittima. Ci vogliono le perizie per stabilire che un ragazzo con il corpo straziato dalle ferite non si sia spento per un malore. Ad ogni modo, oggi, grazie alle indagini della magistratura si è arrivati ad una sentenza di condanna definitiva per i quattro agenti a 3 anni e 6 mesi (ridotti a 6 mesi per effetto dell’indulto). Una pena detentiva minima, ma sanzioni disciplinari previste, tra cui il licenziamento. Quei quattro assassini non dovranno più servire lo Stato e garantire la legalità. Anche perché, a qualcuno di loro non è bastato aver ucciso un ragazzo indifeso.

Dopo la sentenza, infatti, uno dei condannati, Paolo Forlani, su Facebook si è lasciato andare ad un altro scatto di violenza (questa volta verbale), offendendo pesantemente la madre di Federico, Patrizia Moretti, con epiteti volgari e con accuse sulla sua incapacità di educare il figlio. Inoltre, l’agente ha fatto squallidi riferimenti al risarcimento di 2 milioni di euro che spettano alla famiglia, definendolo ingiusto e augurando alla signora Moretti di “non godersi i soldi come vorrebbe”. Raptus? Forse sì, visto che qualche giorno dopo lo stesso Forlani si è scusato per quelle frasi. Ma è più probabile che i suoi legali o i vertici del suo corpo di polizia glielo abbiano suggerito.

Resta il fatto che questo signore (?) ha dimostrato di essere incapace di fare il poliziotto, perché il suo impulso di aggressività (a parole come con le mani) non può far parte del bagaglio di un tutore dell’ordine, anzi risulta pericoloso e nocivo per la collettività. Il ministro Cancellieri ha avviato un procedimento disciplinare per le frasi pronunciate da Forlani, ma quello che ora ci si aspetta è che i quattro assassini di Federico vengano licenziati, espulsi da un corpo di polizia di cui non possono più esser parte, come ha promesso il capo della Polizia, Manganelli. C’è bisogno di fatti, di punizioni esemplari, affinché non ci sia più spazio tra le forze dell’ordine per facinorosi, esaltati, criminali.

E ci si augura, come ha fatto il padre di Federico, che si possa fare giustizia anche per le altre vittime della violenza in divisa, come Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Michele Ferulli, solo per citarne alcuni. Staremo a vedere. Intanto ci basterebbe sapere che i quattro agenti che hanno spezzato la vita di Federico Aldrovandi vengano davvero licenziati. Per Federico, per la famiglia, per una questione di giustizia, per poter ancora credere che in questo Stato ce ne sia ancora una.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org