Nel giugno del 2009, quando vivevo ancora in Sicilia, l’on. Livia Turco venne a presentare il suo libro che raccontava “storie di ordinaria convivenza tra italiani e immigrati”. Quel pomeriggio mi venne chiesto di intervenire al dibattito, considerato che da diversi anni mi occupavo di immigrazione e che, al di fuori della mia attività giornalistica, ai migranti dedicavo parte del mio tempo. Ricordo che ascoltai abbastanza nervosamente l’intervento della Turco, la quale sembrava aver scoperto, ad anni di distanza da quello che molti di noi quotidianamente esperivamo, che l’integrazione (o meglio, l’interazione) fosse possibile. Voleva spiegare alla platea che una convivenza tra migranti e italiani non è un sogno irrealizzabile.

La guardavo ed ascoltavo con gli occhi sgranati, mi stupiva quella banalità così manifesta, l’ovvietà di cose che raccontava davanti anche a persone che da anni, dai tempi in cui l’onorevole ex ministro firmava leggi pessime come la “Turco-Napolitano” (che avrebbe poi costituito l’impianto attorno a cui si è costruita la peggiorativa “Bossi-Fini”), vivevano continue esperienze di meravigliosa convivenza e di lotte per i diritti. Non potevo tacere, perché avevo davanti colei che aveva istituito i Cpt, colei che per anni è stata protagonista, insieme alla sua parte politica, di una innumerevole serie di errori nella gestione del fenomeno migratorio.

Ricordo che condii il mio intervento con un po’ di sarcasmo e senza trattenere il tono polemico, ricordando tra le altre cose che la stessa Turco parteggiava per la vecchia guardia del Pd (D’Alema, Bersani, Fassino), che non aveva espresso condanne particolarmente dure sui respingimenti attuati dal governo Berlusconi e dal suo rude ministro dell’Interno, Maroni. Si erano limitati a dire che, pur non essendo in linea di principio sbagliati, andavano fatti nel rispetto delle convenzioni e dei diritti umani. Una posizione assurda, che non teneva conto dell’assoluta illegalità dello strumento dei respingimenti in mare, una pratica che viola apertamente le norme del diritto internazionale, come ha poi dimostrato la sanzione inflitta al nostro Paese dalla Corte di Giustizia Europea.

Non è un caso che, Franceschini, uno dei pochi ad essersi scagliato con forza contro i respingimenti, era avversato proprio dalla parte del Pd a cui la Turco giurava fedeltà. L’impressione che ebbi da quel dibattito e dalle tante domande a cui l’onorevole non rispose, rinviandomi ad un successivo colloquio privato durante il quale si limitò miseramente a complimentarsi e farmi gli in bocca al lupo per il mio futuro, fu che il suo partito non aveva il coraggio di prendere posizione in materia di immigrazione, per paura di perdere il Nord e quella fascia di cittadini ipnotizzati dalla propaganda destrorsa e spaventati dal teorema dell’ormai prossima “invasione barbarica”.

Il Pd voleva recuperare consenso a Nord e anche in precise fasce della società italiana e in nome di questo tornaconto politico era disposto a sacrificare la questione dei diritti dei migranti, a non lottare per le ingiustizie quotidiane che opprimevano e opprimono centinaia di migliaia di persone. Sono passati 3 anni da quel pomeriggio e la situazione non mi sembra cambiata. Il Pd appoggia il governo Monti e accetta che il ministro dell’Interno, Cancellieri, sigli l’accordo con la Libia, uno Stato con un governo transitorio e che non ha mai firmato le convenzioni sui diritti umani e sul rifugiati. Uno Stato in cui i migranti vengono massacrati, uccisi, detenuti in lager nei quali pestaggi, torture e stupri costituiscono il pane quotidiano.

Una nazione con cui si sigla un accordo identico a quello firmato dal governo Berlusconi e dall’allora rais Gheddafi, senza che poi si rendano pubblici i contenuti dell’accordo. Il Pd, in cui solo l’on. Jean Leonard Touadi alza la voce e chiede al ministro di riferire e di spiegare i termini di questo patto scellerato, tace e continua a sostenere un governo che si macchia delle stesse colpe dei suoi predecessori, un governo che in Libia commette due reati, uno materiale e l’altro morale: complicità in strage e indifferenza. La stessa indifferenza di chi, dentro il Partito Democratico, finge di non sapere o, almeno, ha fatto finta per mesi. Adesso, però, Amnesty International ha reso noti i punti oscuri del patto, ha reso pubblica la notizia, quindi nessuno potrà più venire a raccontarci la favoletta del “non ne ero a conoscenza” o della “notizia che sorprende”.

Dentro il Pd ci sono tante anime, ci sono anche persone che a livello territoriale si occupano di diritti dei migranti da molto tempo e che sicuramente non sono indifferenti, non accettano quanto la Cancellieri e Monti stanno compiendo, fino a poco tempo fa in assoluto silenzio. Ecco perché la speranza è che, oltre a chiedere spiegazioni al ministro dell’Interno, dentro il Pd si cominci a mettere con le spalle al muro il gruppo dirigente che da anni commette errori su errori e ignora la fondamentale questione dei diritti dei migranti per un mero e squallido calcolo politico. Altrimenti è meglio evitare di sprecare solidarietà di facciata, perché stavolta ad ascoltare certe parole e certe tardive prese di coscienza non ci sarà nessuno.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org