Ccstelvetrano, Belpasso, Partanna e Gioia Tauro. Non sono nomi di città qualsiasi. Sono luoghi in cui la criminalità organizzata domina, luoghi in cui la vita della gente è oppressa dalla prepotenza mafiosa. Ognuna di queste città ha un elemento che le caratterizza e le accomuna: la presenza di un potere criminale contro cui si deve combattere ogni giorno, ogni momento, in una lotta continua che sembra non avere fine. Da qualche giorno a questa parte, poi, a collegare ulteriormente queste quattro città  sono stati gli atti criminosi commessi da “ignoti” che, guarda caso, hanno colpito con la stessa tecnica: bruciare tutto. Vittime della codardia mafiosa, questa volta, sono stati i diversi campi confiscati e appartenenti a varie associazioni antiracket, tra cui la ben nota Libera. Così come a Belpasso e a Castelvetrano, anche a Partanna e Gioia Tauro sono andati in fumo centinaia di ettari di terreno. Il fuoco ha distrutto non solo vaste aree coltivabili ma soprattutto i sogni di centinaia di ragazzi provenienti da tutta Italia.

Proprio in estate, infatti, Libera accoglie tantissimi giovani volontari con l’unico scopo di coltivare i campi in cui un tempo regnava la mafia e di produrre prodotti liberi, sani e puri. Un obiettivo che profuma di legalità, di giustizia sociale: coltivare un terreno  un tempo proprietà della ’ndrangheta o di cosa nostra significa tanto, significa vincere sulla prepotenza criminale, dare speranza e lavoro. È per questo, quindi, che questi incendi così vicini tra loro non devono essere sottovalutati, ma anzi visti come campanelli d’allarme.

Ovviamente, le motivazioni di certi atti ignobili possono essere varie: da un lato, si può pensare ad un gesto intimidatorio come tanti altri, che punta più che altro a demoralizzare chi vive in quelle terre e chi crede in valori così importanti; dall’altro, però, c’è qualcosa che va ben oltre la minaccia: proprio a Partanna, infatti, l’incendio è divampato in concomitanza con un evento che ha sancito la realizzazione di una convenzione tra l’amministrazione comunale e Libera per la preparazione di un bando che renderà coltivabili diversi campi confiscati ad alcune cooperative giovanili. È, quindi, un segno chiaro ed evidente. Gli uliveti bruciati a Castelvetrano, le arance carbonizzate di Belpasso, sono un la traccia tangibile della presenza più che mai opprimente della criminalità organizzata. E contro tutto ciò Libera è abituata a convivere.

Lo stesso Don Ciotti, infatti, intervistato proprio in merito a quanto accaduto negli scorsi giorni, ha affermato l’importanza di quei beni confiscati che “non sono solo uno schiaffo alle organizzazioni criminali”, ma anche “opportunità di lavoro, di economia sana e trasparente e prima ancora di cambiamento culturale”. E a proposito dei beni tolti alla mafia, lo stesso leader di Libera non ha perso l’occasione di punzecchiare l’attuale sistema di confisca, affermando che “andrebbe potenziato” e che “devono essere sbloccati quei numerosi beni ancora soggetti a ipoteca bancaria, impossibilitati quindi a svolgere la loro preziosa funzione sociale, educativa, culturale”.

C’è, infine, un altro aspetto che fa riflettere e che riguarda i campi di Belpasso e Castelvetrano. Nel primo caso, l’associazione che vi lavora è dedicata a Beppe Montana, poliziotto palermitano ucciso dalla mafia; nel secondo, invece, il campo in questione sarebbe stato gestito, a breve, da una associazione che porta il nome Rita Atria. Ci troviamo quindi dinnanzi a dei fatti che hanno anche un forte valore simbolico. La criminalità ha colpito due volte: prima ai campi (e quindi a chi vi lavora), poi alla memoria. Ecco perché, di fronte a tutto questo, è più che necessaria non solo l’azione di magistratura, forze dell’ordine e associazioni antiracket, ma anche una profonda operazione culturale che permetta alle nuove generazioni di conoscere gli esempi che la storia della lotta alla mafia fornisce e di raccoglierne il prezioso testimone.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org