Nuda. La politica, intesa come il tradizionale sistema di partiti che si disputano il consenso, è rimasta nuda. Il suo mastodontico e sgangherato corpo non ha più stracci che possano coprirne imperfezioni e segreti. La debolezza di chi governa a livello locale e nazionale è ormai evidente, sadicamente rimarcata ad ogni occasione, mestamente imprigionata in una palude nel quale gli effetti della crisi diventano fango molle dentro cui affoga la coesione sociale, mentre la nube grigia della violenza si riaffaccia e minaccia tempesta. Il governo nazionale, dopo aver accumulato un’iniziale generalizzata fiducia, ha mostrato la sua totale inadeguatezza a comprendere le problematiche e le priorità di un Paese sfiancato da oltre 20 anni di non politica, tutti incentrati sulle vicende e sulle esigenze di un one-man show e dei suoi arroganti commensali. A livello locale, alle scorse elezioni amministrative, in molte città si è registrato un boom di consensi per il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che ha compensato il calo della Lega e il crollo del Pdl. Risultato? Apoteosi, entusiasmo, toni trionfalistici per questo movimento che, in città importanti come Parma, ha persino vinto il ballottaggio.

E qui vengono a galla le contraddizioni di questa fase, sicuramente innovata da un nuovo approccio alla politica, attraverso un movimento nato dalla rete e consolidatosi con i Meet-up nei territori, liberamente, in alternativa ai partiti. Da un lato, la conferma di una spinta di partecipazione completamente nuova, già riscontratasi, in forma più concreta, con le amministrative dello scorso anno a Milano e Napoli; dall’altro, l’aumento di un sentimento populista che, nel nostro Paese, sembra perpetuarsi operando una semplice sostituzione di personaggi, ma mantenendo accenti e orrori simili. Perché ci sono molte similitudini tra Grillo e Berlusconi, tra Grillo e Bossi. C’è un copione comunicativo e una comunanza di visioni che fa rabbrividire chi, anche all’interno del suo movimento, crede in un futuro alternativo, fatto di contenuti, di studio dei problemi, di analisi approfondita.

Eppure siamo alle solite: una voce che, con una certa arroganza, accusa, lancia anatemi, editti morali, alternando il tutto con qualche battuta che fa sorridere il pubblico; una voce che appoggia Bossi, che parla di una Lega fatta fuori “perché all’opposizione” e di un Bossi che “se non si mischiava sarebbe stato uno statista con due cogl…così!” (guarda il video); una voce che ripete più volte che rumeni e albanesi sono criminali, che si dichiara contrario alla cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia e che afferma che quello delle seconde generazioni non è un tema. Insomma, un ibrido, che è da molti considerato un guru e che è attualmente il depositario della fiducia dei delusi o degli indecisi. Gli imbarazzi, all’interno del movimento, non mancano: perché adesso cominciano le prime fratture, i primi distaccamenti.

Anche perché non tutti accettano i toni usati dal comico genovese, che parla in pubblico come fosse al bar, con quel gergo duro e violento, sprezzante, squalificante che, in un momento di tensione come l’attuale, è folle e somiglia tanto al patetico ed iniziale “celodurismo leghista”. Intanto, l’Italia è in fermento e in tanti territori si combatte, si manifesta, si resiste contro una politica che rimane chiusa dentro le stanze ovattate del proprio nulla, senza assumere decisioni e senza riuscire ad interpretare il bisogno di ascolto che la gente continua ad esprimere. Chiusa e terrorizzata dalle nuove minacce di gruppi che hanno alzato il tiro e individuato i bersagli. C’è una debolezza che sembra incurabile, è il crollo annunciato di un sistema che, per troppi anni, ha pensato di potersi autoalimentare secondo logiche di casta, impoverendo gradualmente i cittadini.

Somiglia un po’ al declino di quei grandi dittatori che cominciano a sentire meno sicure le regge dai portali dorati in cui hanno vissuto una vita completamente separata dal resto della nazione. E non sanno più cosa fare se non prepararsi una sicura via di fuga. In questo marasma, però, va ribadito che a poco serve diffondere l’idea che tutti sono uguali, che non ci sono confini, differenze, che i partiti vanno cancellati. È pura follia. I partiti non vanno distrutti, perché sono un elemento indispensabile di una democrazia, sono garanzia di pluralismo delle posizioni e, dunque, di confronto delle idee. Non è il web che puoi sostituirli, non è abbattendoli che si risolve il problema. Piuttosto bisogna riformarli, riammodernarli e costringerli a tornare a misurarsi con il consenso popolare, ad aprirsi attraverso l’adozione di meccanismi democratici di rappresentanza interna, cui dovrebbe corrispondere, immediatamente, una legge elettorale che garantisca davvero una selezione democratica dei candidati.

Ecco perché, nonostante tutto, il Pd regge e, nel dato elettorale, è persino in crescita: non solo per l’astensionismo, ma anche perché con l’introduzione delle primarie ha saputo coinvolgere i cittadini nella scelta, che spesso è ricaduta su candidati non in quota Pd, come avvenuto per Pisapia, De Magistris e Vendola nel passato. E questa è sicuramente la dimostrazione che, se si avesse maggior coraggio nell’assumere scelte chiare, anche se apparentemente rischiose per i propri equilibri interni, si potrebbe ottenere consenso e creare dei meccanismi virtuosi. Anche nei partiti consunti e malconci di oggi. E magari i comici tornerebbero a far ridere per mestiere, sempre che ne siano ancora capaci.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org