Ci sono circostanze di luogo e di tempo che rendono certe parole ancora più inopportune di quanto già non siano. Ci sono momenti nei quali sarebbe preferibile poter ricordare senza che la riflessione conseguente venga sporcata dalle farneticazioni del tribuno di turno. Le affermazioni sconsiderate di Grillo, a Palermo, le abbiamo dovute ascoltare e leggere proprio nel giorno del 30° anniversario dell’uccisione dell’on. Pio La Torre e del suo collaboratore ed autista Rosario Di Salvo, vittime di quella mafia che, secondo Grillo, non strangola e opprime di meno di quanto non facciano la crisi e la politica. Pio La Torre era un rappresentante dello Stato, un deputato, un comunista che aveva attraversato tutta la storia dell’Italia repubblicana, combattendo in prima linea sin dall’adolescenza. Era palermitano, proveniva da una famiglia di contadini, molto povera, già all’età di 18 anni si iscrisse al Pci, costituendo una sezione nella propria borgata di Altarello di Badia. Da quel momento inizia la sua battaglia sociale e politica.

Era il periodo delle lotte bracciantili e dell’occupazione delle terre, come forma di protesta per la non applicazione dei decreti Gullo, che stabilivano più diritti e più terre da coltivare per i braccianti, soprattutto al Sud. La mafia, legata ancora al latifondo e in perfetta sintonia con una parte della Dc dell’epoca, non intendeva rinunciare al proprio controllo sulle campagne e terrorizzava e vessava i contadini, minacciandoli e minacciando anche quei sindacalisti che spingevano per l’occupazione delle terre e per la ribellione al sistema politico-mafioso del tempo. Numerosi braccianti e valorosi sindacalisti come Placido Rizzotto (e alcuni anni più avanti Turiddu Carnevale) vennero uccisi per aver provato a distruggere il muro dell’oppressione che la mafia aveva edificato sulle campagne. Da un lato la mafia e dall’altro lo Stato, con la sua violenza repressiva e gli eccidi compiuti dalle forze dell’ordine, che obbedivano agli ordini di sparare sulla folla.

La Torre, divenuto nel 1947 funzionario della Federterra e successivamente responsabile giovanile della Cgil, prese parte attiva al movimento di protesta a fianco dei braccianti. In un clima avvelenato dalle stragi compiute dalle forze di polizia (come a Melissa, in Calabria, nel 1949), dalle intimidazioni mafiose e dagli arresti politici nei confronti di braccianti e sindacalisti, il giovane comunista palermitano organizza numerose manifestazioni di occupazione delle terre, riuscendo a far assegnare numerosi ettari di terreni incolti e mal coltivati, tra Corleone e altri paesi della provincia di Palermo, tra cui molti appezzamenti di proprietà di mafiosi. La repressione dello Stato però si intensifica e anche La Torre, dopo una giornata di scontri tra contadini e poliziotti, viene arrestato con un pretesto. Rimasto circa un anno e mezzo in carcere, egli riprende il suo attivismo e comincia ad assumere ruoli sempre più importanti nella Cgil e nel Pci, di cui diventa deputato per la prima volta nel 1972.

La sua lotta alla mafia si intensifica, con la sua partecipazione alla Commissione parlamentare antimafia, di cui è relatore insieme al giudice Terranova. Durante questa attività partorisce una proposta di legge sulla costituzione del reato di associazione mafiosa e soprattutto sulla confisca dei beni della mafia. Nel frattempo continua la sua attività di denuncia, attaccando Vito Ciancimino e i suoi sodali di partito che, insieme ai corleonesi, stanno saccheggiando Palermo. Sul fronte politico poi conduce una memorabile battaglia civile contro l’installazione di missili nucleari nella base Nato di Comiso (Rg), creando un ampio movimento d’opinione e organizzando, nell’ottobre del 1981, quella che rimane la più grande manifestazione pacifista in Sicilia.

Pochi mesi dopo, il 30 aprile del 1982, La Torre, il quale aveva scelto di tornare a Palermo, assumendo la carica di segretario regionale del Pci, nel periodo più difficile per la città, insanguinata dalla strategia violenta dei corleonesi, viene assassinato mentre si reca nella sede del partito insieme al suo inseparabile collaboratore Rosario Di Salvo. Solo dopo la sua morte e quella, 5 mesi dopo, del generale Dalla Chiesa, la proposta di legge di La Torre, che introduceva il reato di associazione mafiosa e l’istituto della confisca dei beni, verrà trasformata in legge, con tutte le importanti conseguenze positive che la sua applicazione avrà nella fase successiva di lotta al crimine organizzato.

La Torre, il segretario del partito, l’uomo che aveva condotto migliaia di battaglie sul campo, in prima linea, e Di Salvo, compagno infaticabile, militante puro, uomo di grande umanità e gentilezza, che aveva accompagnato tanti uomini del partito nelle varie città dell’isola per dibattiti, riunioni, incontri. Quella mattina, come tutte le altre, si muovevano per le vie di Palermo sapendo che il rischio era sempre presente. Per tale ragione Rosario aveva la pistola pronta ed ha provato a difendere il suo segretario e se stesso prima di essere ammazzato.

Per questa consapevolezza, questo impegno costante, questo sacrificio immenso, credo che si debba avere più accortezza e meno superficialità quando si parla di mafia e, soprattutto, un po’ più di pudore quando si pensa di dire cose che oltraggiano chi contro la forza stritolatrice del piombo e del tritolo ha combattuto pur sapendo che, prima o poi, ne sarebbe stato sopraffatto. Ma d’altra parte questo è anche il Paese dei comici che non fanno ridere, delle targhe tolte e delle verità negate. Solo che pensando a Pio La Torre e Rosario Di Salvo, che erano pure amici e compagni di mio padre, proprio non riesco a rassegnarmi alla stupidità offensiva di chi, svestiti i panni del proprio mestiere e indossati quelli del finto rivoluzionario, mostra tutta la propria sconcertante pochezza.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org