La mia professoressa di greco diceva che l’ironia sta nel trattare di cose banali utilizzando un linguaggio elevato. A ripensarci adesso direi che nessuna definizione si applica meglio alla musica e alle parole degli Offlaga Disco Pax. È uscito questo mese il loro terzo album ufficiale, “Gioco di Società”. Al centro, ancora una volta, l’Emilia, già declinata in molte versioni non solo da loro ma anche da altri. Questa volta però dimenticatevi le piccole Pietroburgo, le fughe estere di Tatranky e concentratevi su Reggio Emilia, la loro città. Ascoltando si ha l’impressione di sfogliare un album fotografico. La casa dei nonni, gli amici delle medie, i Police in concerto, le imprese eroiche di sportivi anni ‘80. Il tutto condito abilmente dai synth che gli Offlaga arrivano a maneggiare con grande abilità.

Eppure manca qualcosa. Ai consueti testi di Max Collini sembra mancare quello slancio cattivo e ancora più “ironico” nel senso di cui sopra, che avevano una volta. Ma non si traggono più quelle conclusioni sferzanti e secche rintracciabili per esempio in Sensibile e Lungimiranza. Cominciamo dando un ascolto al loro singolo Parlo da solo. Ci piace moltissimo per l’attacco e l’inusitata complessità musicale che si cela dietro. In un’atmosfera dark e cupa le parole di Collini per la prima volta non divagano in lampi chiari di frasi sconvolgenti e riflessive. C’è solo spazio per una litania. “Parlo da solo”, come un matto verrebbe da dire. Un matto lasciato da solo, a cui staccano il microfono improvvisamente così come bruscamente si interrompe il pezzo.

Qualcosa sembra sia successo in quest’album, di certo più intimista degli altri. Sotto questa luce leggiamo Palazzo Masdoni breve parabola politica di un ragazzino di provincia troppo attaccato alla causa, anche per gli stessi “uomini” del partito. “Ci stavo talmente bene che la militanza a un certo punto occupò tutto il mio tempo. Tutto”. Un ricordo romantico e nostalgico. “Oggi lavoro a poca distanza da dove sognavo di traslocare al tempo”. Come si legge, è più difficile per un ascoltatore estraneo a certe dinamiche capire cosa ci fosse dietro. Certi sentimenti possono trapelare, ma altri, più sentiti, rimangono inesplicabili. E resta solo un’iperbole musicale montata a dovere che accompagna la conclusione.

Vorremmo scegliere come canzone preferita (perché più ricorda gli altri due album, lo ammettiamo) Tulipani. In questo pezzo, il minimalismo musicale raggiunge il massimo dell’espressione. Minimale come l’eroica avventura del ciclista Johan Van, che quasi finì assiderato sul passo del Gavia al giro del 1988. Lui che “dopo un paio di bestemmie protestanti tornò in sella al suo cavallo verso la valle che incombeva” è la più bella immagine di questo album di fotografie. Ci sembra di vederlo sbuffare e fermarsi costretto dal freddo per arrivare con 47 minuti di ritardo al traguardo. Fa un po’ pena la sua storia, come forse le nostre. Concludiamo con un accenno alla più ermetica Desistenza, più techno anni ’80 che mai, che richiama i lavori essenziali dei profeti Kraftwerk. Qualcosa si sta muovendo dalle parti di Reggio Emilia, tenete le orecchie spalancate.

Penna Bianca –ilmegafono.org