Quello che accade in diverse aree del Paese, ma soprattutto in Sicilia, merita una riflessione ulteriore su quello che è il senso del movimentismo, per comprendere quali siano le strade oggi percorribili e quelle che bisogna assolutamente evitare di ripetere. Non è un fatto storicamente nuovo che in Sicilia improvvisati “capipopolo” si arroghino il diritto di rappresentare, a loro uso e consumo, il malcontento popolare. Questo è stato ed è  il segno negativo e tragico delle sconfitte dei siciliani. La confusa agitazione del movimento dei Forconi rimane nel solco di questa “ribellistica” ed equivoca tradizione, della quale sono pronti ad approfittare i predatori di un sistema di potere che ancora impera e che continua a gestire i suoi sporchi affari. Dietro il qualunquismo di un Mariano Ferro brulicano forze e interessi che, nel caos, sanno di poter prevalere ancora una volta a danno dei cittadini. Se i siciliani delle diverse e composite realtà territoriali dell’isola maturassero finalmente la coscienza di essere un popolo che, pur tra mille contraddizioni, ha saputo esprimere fulgidi esempi di lotta per il cambiamento, ciò muterebbe il corso delle cose. C’è uno straordinario percorso compiuto dalle diverse generazioni, in particolare dal dopoguerra ad oggi, c’è un patrimonio di sacrifici individuali e collettivi che hanno scandito la crescita di una coscienza sociale più estesa.

Ci sono cellule vitali che devono essere riattivate per un vero rinascimento siciliano. C’è un filo conduttore storico del processo di emancipazione, di liberazione e di progresso della società siciliana, che deve ridare linfa ad una rinnovata coscienza popolare. Quel filo che ha sorretto non solo speranze ma anche conquiste, pur in molti casi parziali, di moltitudini di siciliani che credevano e credono nella giustizia e in una società libera dal ricatto. Lotte che hanno lasciato un segno profondo in questa terra bella ed infelice: da quelle contro il latifondismo per la riforma agraria per dare la terra a chi la lavora, a quelle operaie negli anni ’60 contro le gabbie salariali per costruire pari diritti e pari dignità con gli operai del nord; dalle lotte bracciantili della fine degli anni ′60 contro il caporalato e il mercato delle braccia, culminate nell’eccidio di inermi braccianti ad Avola, alla nascita e all’estensione dei movimenti contro la mafia, per la tutela dell’ambiente, contro l’inquinamento, contro il tentativo permanente di saccheggio del territorio da parte di gruppi industriali, spalleggiati da politici spregiudicati ed affaristi.

Lotte e processi di cambiamento per cui è stato pagato un prezzo elevatissimo da tanti siciliani, anche fino al sacrificio estremo della vita di chi non ha voluto piegarsi né alle persecuzioni dei poteri dominanti né alle minacce della mafia. È il contenuto di queste battaglie e di tante altre dello stesso segno, che deve permeare il sentire sociale e civile dei siciliani, che può trasformare una somma di comunità in un popolo consapevole dei suoi diritti e delle sue aspirazioni. Non di rivolte irrazionali o indifferenziate c’è bisogno, ma di scelte chiare e condivise per affermare il diritto al lavoro sottratto alle logiche clientelari, per favorire una crescita economica sottratta all’illegalità e a logiche saccheggiatrici delle risorse naturali, per colpire al cuore le greppie del potere economico- mafioso, per cancellare ogni forma di vessazione di un sistema di potere malato e malavitoso, per impedire lo stupro dei diritti collettivi e del bene comune perpetrato dalla piovra mafiosa, dagli imprenditori collusi e dai quei colletti bianchi e da quei rappresentanti della politica che si annidano come famelici parassiti nelle istituzioni e negli apparati burocratici.

I bisogni di migliaia di disoccupati, giovani e non, le difficoltà di tante categorie produttive colpite dalla crisi, le esigenze di tutela e di promozione sociale, il sostegno ai nuclei sociali più deboli, la necessità di una crescita culturale che ampli le opportunità di partecipazione e di coinvolgimento nelle scelte, hanno bisogno di un progetto comune fondato su un tessuto connettivo di solidarietà, staccato da agitazioni scomposte, demagogiche e, ancora peggio, dai contorni foschi. La grande pulsione di protesta esplosa nelle settimane passate, per trasformarsi in un movimento popolare in grado di porre di fronte alle proprie responsabilità le istituzioni e i governi ai diversi livelli, deve avere obiettivi chiari, ripudiare logiche populiste, parole d’ordine fumose o mistificatorie. Bisogna essere in grado di separare le rivendicazioni giuste da quelle strumentali, potenziando la grande esperienza di democrazia e di partecipazione che tanti movimenti e associazioni hanno prodotto: da Addiopizzo a Palermo ai No Triv in Val di Noto; dai No al rigassifigatore di Priolo-Melilli delle associazioni Decontaminazione Sicilia e Augusta Ambiente ai movimenti contro la cementificazione del territorio di Sos Siracusa.

Per trasformare la rabbia in lievito positivo per una grande iniziativa di rinnovamento, possente ma pacifica, in grado di conquistare larghe parti delle comunità, occorre isolare ed espellere tutti coloro che mischiandosi in una protesta tumultuosa cercano di apparire vittime pur essendo carnefici. Basti ricordare che, tra gli imprenditori che reagiscono contro la crisi, alcuni di loro sono i nuovi negrieri che lucrano sulla sofferenza degli immigrati e sul lavoro nero senza alcuna tutela di migliaia di siciliani e che altri continuano a fare i loro affari con il sostegno delle cosche mafiose e dei gruppi di affari che allignano in alcuni segmenti della pubblica amministrazione e del potere politico. Avere piena consapevolezza della realtà consentirà di non esprimere condanne giacobine e di saper selezionare le scelte e gli obiettivi. In questo modo la Sicilia potrebbe diventare una nuova frontiera avanzata per invertire in senso positivo il destino del suo popolo, disincagliandolo dalle secche pericolose di un terribile declino.

Salvatore Perna –ilmegafono.org