Ricordare e celebrare. Farlo in modo ufficiale, con una cerimonia di Stato. Anche se sono passati 64 anni da un evento tragico, da quella maledetta notte in cui Placido Rizzotto venne ucciso dalla mafia. Una scelta che non è solo una maniera per rimediare alle mancanze di una giustizia che non è stata mai fatta, nonostante gli sforzi immani e la grande intelligenza del generale Dalla Chiesa, il quale alla verità ci era arrivato, ma è anche un atto dal fortissimo valore simbolico. Immagino ci sia chi prenda alla leggera l’idea di celebrare un funerale di Stato per dare l’estremo saluto ai resti di un uomo morto 64 anni fa. Immagino che si tratti di chi non ha la minima idea di ciò che significhi memoria, esempio, raccontare oggi chi era Placido Rizzotto, partigiano, sindacalista, uomo capace di far annusare il profumo della libertà e della terra libera ai braccianti vessati dal latifondismo mafioso, dai campieri, dai boss con la lupara e da quelli con le giacche e le cravatte, i camici e le siringhe piene di veleno per eliminare i testimoni.

Non è il tempo che fa sbiadire la grandezza di una lotta che, nella mia terra, è iniziata già nella prima metà del ‘900, quando i siciliani combattevano e morivano contro la mafia. Braccianti e sindacalisti che a muso duro lottavano per i propri diritti, memoria di un’isola del cui volto il resto del Paese ha voluto guardare solo uno zigomo sporgente, spacciandolo per l’intero corpo, raffigurando una sagoma mostruosa da cui sparivano i lineamenti più belli, quelli che cercavano in ogni maniera di correggere quel difetto così innaturalmente deformato. Placido Rizzotto e i tanti altri siciliani dalla schiena dritta e lo sguardo alto rappresentano la bellezza delle idee di libertà che si oppongono all’orrore del sopruso e dell’ingiustizia. Storie di chi è stato fermato materialmente, fisicamente con il piombo ed il silenzio, ma che è entrato nella dimensione eterna ed immortale dell’esempio, qualcosa che la mafia non potrà uccidere mai, in alcun modo.

Ci prova spesso infangando la memoria delle vittime, lasciando circolare, sia quando sono in vita che soprattutto quando muoiono, congetture, voci, allusioni che possano screditarne il valore agli occhi di chi ne ha conosciuto coraggio, onestà, dirittura morale. Ma l’esempio, le idee partorite e diffuse nella lotta, le strategie, i pensieri condivisi, tutto ciò diventa esperienza granitica, inossidabile, più forte dei proiettili e delle calunnie. Chi combatte e crea consapevolezza nelle persone che spinge a lottare e ribellarsi, non muore mai veramente. Ecco perché il valore della memoria va difeso e custodito, ecco perché raccontare, scrivere, testimoniare, celebrare anche a distanza di anni sono tutti compiti che hanno sostanza civile e sono volti alla migliore educazione sociale.

Oggi, che un ragazzo di 20 anni conosca la vicenda, le idee, le azioni di un uomo vissuto più di mezzo secolo prima, è di vitale importanza per il futuro, perché crea riferimenti positivi, schemi a cui riferirsi nel confronto quotidiano con le ingiustizie, piccole o grandi, che accompagnano la crescita, la maturazione. Capire per bene come mai uno Stato celebri Placido Rizzotto così come ricordi Falcone e Borsellino, significa essere consapevoli di vivere in una comunità dove chi non si piega e si occupa della libertà degli altri e della giustizia costituisce il punto di riferimento, il modello da imitare, da seguire o, quantomeno, da difendere con passione e forza.

Allora, dopo aver dato l’estremo saluto a Rizzotto, è ora che questo Stato riprenda a ricordare. È ora soprattutto che cominci a rimediare ai tanti torti commessi contro uomini che hanno cercato di liberarlo dai tentacoli di un nemico potentissimo, da quel virus violento che si è incuneato nelle vene di una democrazia anemica, che solo una cura di memoria e verità può salvare dagli assalti dell’oblio e della rassegnazione ad un mistero che, da decenni, sforna mastodontici e inespugnabili muri di gomma.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org