Sull’Italia si gioca la grande battaglia dell’euro e bisogna vincerla, imparando dall’esperienza greca, senza ignorare che i due paesi hanno molti punti in comune, ma anche grandi differenze. A dirlo è Dimitris Deliolanes, giornalista greco che segue il nostro Paese da 30 anni come corrispondente della Radiotelevisione pubblica ellenica (ERT). Deliolanes si è trasferito da Atene a Roma a soli 13 anni, nel 1967, per sfuggire con la sua famiglia al regime dei colonnelli ed ha vissuto qui gran parte della sua vita. “Mia madre era stata una militante comunista – racconta – e, pur non essendo più impegnata attivamente in politica, una volta salita al potere la giunta militare, voleva evitare qualsiasi contatto con polizia ed esercito”. Da greco naturalizzato in Italia, Deliolanes è autore di saggi e documentari sulle relazioni tra i due Stati ed ha anche studiato con passione la storia recente del nostro Paese. Il suo ultimo libro, “Come la Grecia – Quando la crisi di una nazione diventa la crisi di un intero sistema” è un’analisi dura e puntuale delle motivazioni che hanno portato il Paese ellenico alla situazione attuale.

Ma l’Italia rischia di “fallire” come la Grecia?

Ho lavorato molto sulla crisi sia in Grecia che in Italia e ho trovato molte somiglianze tra i due Paesi.  L’Italia però ha un’economia molto più solida, è una delle prime potenze mondiali, la terza economia dell’Eurozona e non può assolutamente fallire. Sull’Italia si gioca la grande battaglia dell’euro e dell’Unione Europea ed è una battaglia che va vinta. Non ci possiamo permettere un default dell’Italia ed è per questo che ho scelto il titolo “Come la Grecia”: è un titolo apotropaico, per scongiurare un’evoluzione della crisi nel vostro Paese simile a quella ellenica. Non credo però che il nuovo governo del premier Monti arrivi ad adottare misure drastiche come quelle greche, ma certamente potrà imparare dall’esperienza del vicino. E credo anche che le resistenze tedesche all’Eurobond possano essere superate.

Cosa accomuna i due paesi?

Entrambi hanno una grande storia e un grande passato, sono stati la culla della civiltà occidentale come la conosciamo oggi. Ma il primo punto in comune tra le due nazioni negli ultimi anni è il discredito dei cittadini nei confronti della loro classe politica, una classe politica di scarsa qualità che non ha saputo essere all’altezza del compito affidatole. In Grecia uno dei problemi principali è uno Stato clientelare: negli ultimi duecento anni il sistema ellenico è stato clientelare. Ogni partito si è creato la sua “corte” per vincere le elezioni e chi viene eletto ricompensa il voto con l’assunzione nel settore pubblico. L’evasione fiscale e l’abusivismo edilizio rappresentano altre due piaghe dilaganti. Con l’entrata nell’euro questo sistema avrebbe dovuto avere fine, ma così non è stato.

E quali sono i punti di contatto tra l’evoluzione della crisi greca e di quella italiana?

Ci sono stati molti elementi simili: un durissimo attacco dei mercati e delle agenzie di rating. La classe politica però ha mancato di lungimiranza e se alcune delle misure che adesso si stanno prospettando per l’Italia fossero state prospettate un anno e mezzo fa a quest’ora staremmo tutti molto meglio. Noi interveniamo troppo poco e troppo tardi. Ora però c’è l’esperienza pregressa greca e sicuramente, come ho già detto, il governo italiano non arriverà a tagliare del 30% gli stipendi pubblici, come invece è accaduto in Grecia. E ti dirò un’altra cosa:  in Grecia c’è già una legge che prevede l’equiparazione di tutti gli stipendi nel settore pubblico. Automaticamente saremo tutti equiparati: i nostri gradi, anche per i giornalisti, saranno usciere, capo ufficio, capo settore, capo dipartimento. Di fatto i nostri contratti di categoria non varranno più. Anziché ridurre la burocrazia dove già è molto forte, si creeranno ulteriori gerarchie in settori dove finora non esistevano.

Nell’ultimo piano “lacrime e sangue” adottato dal governo ellenico, prima delle dimissioni del premier socialista George Papandreou, è stato deciso il licenziamento di 30mila dipendenti pubblici. Puoi spiegarci meglio come funziona questa misura?

In Grecia (come in Italia) chi lavora nella Pubblica amministrazione non è licenziabile. Chi invece lavora in società a partecipazione statale può essere licenziato. Quindi ora lo Stato metterà 30mila dipendenti di società statali in via di privatizzazione in una sorta di “cassa integrazione” che dura un anno. Al termine dei dodici mesi, le aziende saranno privatizzate e i 30 mila dipendenti potranno decidere se tentare di essere reintegrati mediante concorso oppure prendere per un altro anno il sussidio di disoccupazione, pari a 500 euro. Di fatto, però, saranno tutti licenziati. È questa è solo la prima ondata di tagli. Poi ci sarà una riduzione dei lavoratori della Pubblica amministrazione, ma per questo è necessaria una riforma costituzionale.

L’impatto del piano dausterità sulla vita quotidiana delle persone deve essere stato molto forte…

La parola chiave è depressione. Lo dico chiaramente nel mio libro. La si coglie in ogni luogo, in ogni aspetto della vita dei greci. Negli uffici pubblici regna la paura, l’insicurezza e la rassegnazione. Nelle imprese private, con il personale ridotto all’osso e costretto a lavorare fino a notte fonda, domina il silenzio del terrore. (Nel libro si parla infatti di un rapporto degli ispettori del lavoro del gennaio 2011, secondo il quale 50 mila lavoratori del settore privato non hanno ricevuto la tredicesima nel 2010, ma solo lo 0,5 per cento lo ha denunciato). Anche i consumi, ovviamente, si sono ridotti drasticamente e, inutile dirlo, la crisi per i giovani è durissima. Paradossalmente, non funziona più nemmeno il sistema clientelare perché, come era prevedibile, i carrozzoni statali creati da una classe politica egoista e negligente sono ormai pieni. Basti pensare alla Metro di Atene: un esempio lampante di come i “pubblici amministratori” possano fare dei danni. Metro, la società che gestisce la metropolitana di Atene, fino all’avvento della giunta di “Nuova democrazia” (il partito della destra greca, dato per favorito nei sondaggi dopo il fallimento del governo di George Papandreu, leader del Pasok diventato premier nell’ottobre 2009 e dimessosi l’11 novembre scorso), era una società snella ed efficiente che lavorava in condizioni di monopolio. Dal 2006 però Nuova Democrazia ha iniziato ad assumere i suoi “elettori e sostenitori” e la società ha iniziato a lavorare in deficit perché c’era troppo personale. È questo il problema della Grecia. Lo Stato è il primo datore di lavoro e, allo stesso tempo, il primo cliente del settore privato. Molto, anzi quasi tutto, dipende dalle “bustarelle”, dai favori del politico di turno che assume la zia, la nipote, il cugino. In Grecia la corruzione è più alta che in Italia, dove viene comunque bilanciata da altre cose.

Quali sono le tue previsioni per il futuro della Grecia?

Le responsabilità dell’attuale situazione ellenica sono sicuramente da attribuire al governo socialista di Costas Simitis (che ha retto il paese dal 1996 al 2004), ma anche a quello conservatore che lo ha seguito. Costas Simitis è colui che nel 2001 ha fatto il “famoso contratto” con Goldman Sachs, trasformando in valuta straniera il debito pubblico e falsificando i conti. Poi Nuova Democrazia, malgrado le ripetute sollecitazioni dell’Europa, non ha fatto nulla per modificare lo stato di cose e ha mentito per anni ai cittadini. Il premier George Papandreu, eletto nel 2009, però è arrivato troppo tardi, aveva una “visione” politica, ma anche grandi difficoltà a governare, ed ora non c’è alcun dubbio che la sua esperienza è finita. Il prossimo esecutivo sarà guidato da Nuova Democrazia, il partito conservatore di Antonis Samaras.

G. L. – ilmegafono.org