Un′altra importantissima vittoria nella lotta alla criminalità organizzata, una bellissima sfida vinta dalla magistratura italiana che, dopo solo un anno di intense indagini, ha portato a termine un processo contro numerosi esponenti della ′ndrangheta operanti in Lombardia. Con 110 condanne su 119 imputati, l′inchiesta “Infinito” risulta essere una delle più importanti che si siano registrate fino ad oggi: si tratta, insomma, di un vero e proprio maxiprocesso contro la criminalità organizzata calabrese e le sue infiltrazioni nel tessuto economico del Nord. Tutto ha avuto inizio nel luglio del 2010, quando la Dda milanese, in collaborazione con quella calabrese, guidata dai pm Alessandra Dolci, Paola Storari e il procuratore aggiunto Ilda Bocassini, decide di aprire un′inchiesta con l′obiettivo di colpire i clan operanti in Lombardia. Un lavoro sicuramente difficile se si considera l′ostilità  culturale e politica di chi da anni cerca di nascondere (volutamente?) la presenza di ogni infiltrazione sospetta. Eppure, nonostante ciò, il lavoro svolto dalla Dda è andato incontro ad una verità che è sotto gli occhi di tutti, anche di chi in Lombardia ci vive e ci lavora.

A Milano e dintorni esiste realmente una potente organizzazione mafiosa divisa in più “locali” (al momento ne sono state individuate 15) e attiva in ogni settore. E ciò è stato confermato dal Gup del tribunale di Milano, Roberto Arnaldi, che ha accolto le accuse dei magistrati milanesi ed ha emesso ben 110 condanne con pene fino a 16 anni. Una bomba caduta in pieno sull′organizzazione mafiosa. Una di quelle che spesso sono state usate per incutere terrore nella società. Ma il terrore, questa volta, non è opera di armi violente, bensì dell’uso della legge e del lavoro eccezionale svolto da uomini e donne di grande volontà. Un terrore che ha turbato anche i condannati presenti in aula, tra cui il presunto “capo dei capi” Pasquale Zappia (condannato a 12 anni), che alla lettura della sentenza ha accusato un malore.

Tra gli altri condannati, inoltre, si registrano Alessandro Manno, capo della ′ndrina locale di Pioltello (per lui la condanna è di 16 anni), Cosimo Barranca, capo della cosca milanese (14 anni), Pasquale Valdes, ex sindaco di Borgarello (1 anno e 4 mesi per turbativa d′asta). È stato assolto, invece, l′ex assessore provinciale di Milano Antonio Oliverio. Insomma, il numero delle condanne è elevato, certo, ma non deve assolutamente definirsi completo. Allo stesso modo, bisognerebbe riflettere sull′emergenza infiltrazioni che ormai da diversi anni si sta vivendo nella regione lombarda. È evidente che la mafia approda laddove il denaro è presente in grosse quantità, ma resta inaccettabile che sia riuscita ad assumere il controllo di un territorio di fatto non suo, lontano dalla “casa” Calabria e probabilmente non pronto a difendersi da certe situazioni.

Per non parlare, infine, di una politica troppo debole e spesso accondiscendente. Qualcuno pensava che fosse un male tipicamente meridionale, che solo al Sud potessero avvenire certe cose, che solo i comuni del Sud aprissero le porte alla criminalità organizzata. Oggi, invece, siamo a conoscenza del fatto che anche i politici del più “evoluto” Settentrione, appartenenti ad ogni categoria ed ogni partito, accettano inermi il giogo mafioso e che la stessa criminalità ha assunto una potenza territoriale che deve essere urgentemente arginata. Non solo con le sentenze, ma anche culturalmente.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org