Associazione mafiosa ed estorsione, due reati senza alcun dubbio gravi che, se contestati ad un giovane poco più che ventenne, lasciano presagire una florida carriera criminosa. Nel nostro Stato bastano poco meno di  9 anni di carcere perché tali reati siano “perdonati”, perché il mafioso- taglieggiatore  in questione abbia diritto a tornare a piede libero. È quanto è accaduto a Giuseppe Salvatore Riina, il terzogenito di Totò, scarcerato lo scorso 1 ottobre dopo aver scontato la sua condanna a 8 anni e 10 mesi.  Oltre 3000 giorni di carcere, non pochi, eppure, con ogni probabilità, in molti non li considerano affatto sufficienti perché il rampollo di casa Riina possa davvero sperare di aver saldato il proprio conto con la giustizia. Una scarcerazione che ha sollevato non poche perplessità, anche in considerazione del fatto di essere stata immediatamente seguita dalla rivelazione di un pentito che avrebbe accusato (già lo scorso aprile) Riina jr di ordire un attentato ai danni dell’ex ministro della Giustizia, Angelino Alfano, presumibilmente colpevole d’aver inasprito il carcere duro per i mafiosi.

Eppure Giuseppe Salvatore Riina è libero, ha lasciato il carcere di Voghera ma non è stato condotto (come inizialmente stabilito dai giudici) a  Padova per lavorare in una ONLUS per “rifarsi una vita da persona per bene, nonostante il nome che porta”; a sorpresa, poche ore prima della scarcerazione, a Salvuccio Riina è stato sospeso il provvedimento di sorveglianza in questione e notificata una norma di prevenzione del 2002 che prevedeva l’obbligo di soggiorno dello stesso a Corleone. Una vera e propria carrambata che, a voler essere un po’ sospettosi, potrebbe essere stata causata dalle mille polemiche che la sentenza che avrebbe consentito al mafioso di vivere in Veneto aveva scatenato, in particolar modo da parte della Lega.

“Un Riina deve sentire l′ostilità dell′ambiente che lo circonda”, ha dichiarato il deputato leghista Gianluca Buonanno che ha però continuato: “Non vogliamo che la storia e gli errori degli anni ′70 si ripetano; allora l′applicazione dei soggiorni obbligati significò l′arrivo della mafia nelle nostre regioni. Oggi il pericolo è aumentato perché queste organizzazioni possono contare su ramificazioni più forti”. Come dire “la mafia è un problema siciliano, che se lo gestiscano i terroni”.  Ma anche i “terroni” (quanto meno una buona parte di loro) ne hanno abbastanza di avere paura, di vedere la propria terra stuprata dai mafiosi. Così il sindaco di Corleone, Antonio Iannazzo, senza alcuna riserva né paura ha dichiarato di non essere affatto contento del rientro di Riina in paese, definendolo socialmente pericoloso e persona non gradita, mentre i soci delle cooperative che gestiscono le terre confiscate a suo padre lo definiscono un ostacolo al cambiamento.

Ma anche la Corleone non politica o socialmente impegnata sta cambiando. Non è la stessa Corleone che nel 2008, quando Salvuccio fu scarcerato per decorrenza dei termini, lo accolse trionfalmente organizzando feste per strada in suo onore; è una Corleone ancora spaventata, che non ha ancora il coraggio di definire i Riina mafiosi ma li  chiama “signori”, che non li attacca ma che quanto meno non li difende più a spada tratta. Un lento ma innegabile cambiamento che ha probabilmente sorpreso lo stesso Giuseppe Riina ,che nei giorni scorsi ha dichiarato: “Non mi vogliono qui, non mi vogliono lì, al Sud, al Nord… Non è questo lo spirito della Costituzione, bisognerebbe ricordare a sindaci e governatori. Io ho pagato e voglio lavorare”.

A noi onesti cittadini siciliani, noi che spesso ci sentiamo etichettati come “mafiosi” a causa dei reprensibili comportamenti di individui come lui o suo padre, fa un po’ ridere, per non dire che ci fa decisamente arrabbiare, che, nel rivendicare i propri diritti, l’ultimo dei Riina nomini la Costituzione, quella stessa Costituzione che lui, suo padre e i loro compari hanno ripetutamente calpestato ed ignorato. La legge è uguale per tutti ma non solo quando sancisce diritti.

Anna Serrapelle – ilmegafono.org