Dopo un′estate all′insegna del silenzio e di una tranquillità forse solo apparente, il ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, torna alla riscossa con un′altra delle sue illuminanti proposte. Se è vero che, come egli stesso ha affermato nel corso della presentazione del nuovo logo della PA, la semplificazione è “una delle vitamine per la crescita” e che può risolvere i vari problemi burocratici, l′ultima idea del ministro appare in realtà come un incitamento a ridurre le attenzioni su un tema tanto ostico quanto irrisolto: la criminalità organizzata. Con l′eliminazione del certificato antimafia (anche se lo stesso ministro ha più volte ripetuto che il certificato non andrebbe eliminato, bensì sostituito con delle autocertificazioni), le imprese sane si ritroverebbero con un sostegno in meno da parte dello Stato e questo andrebbe a intaccare una sicurezza, seppur fragile, che certe documentazioni hanno fornito fino ad oggi. Il certificato non è di sicuro  l′arma risolutiva per contrastare la mafia e ciò lo si è constatato più volte: un esempio valido è il caso del terremoto di L′Aquila, dove molte imprese interessate alla ricostruzione, nonostante possedessero il certificato, risultavano in realtà intestate a prestanomi dei clan mafiosi più potenti.

Tutto questo, comunque, non può e non deve cambiare una forma di protezione tanto importante: solo due mesi fa, infatti, il Parlamento ha approvato il testo unico antimafia in cui, nell′articolo numero 99, si faceva chiaro riferimento alla necessità del certificato antimafia. Si può notare, dunque, che non solo ciò risulta essere assolutamente indispensabile, ma pone in chiara evidenza l′ennesima ed inutile proposta di un ministro già ben noto per le sue uscite stravaganti, probabilmente desideroso di un′attenzione mediatica da tempo pallida nei suoi confronti e quindi alla ricerca di nuovi spazi polemici e di un innalzamento della tensione già al limite della sopportazione. Che questo sia, in realtà, un tentativo di distogliere l′attenzione pubblica da cose ben più importanti? D′altra parte, proprio nei giorni scorsi, si è potuto assistere all′ennesima dimostrazione di un parlamento perduto, in preda alla corruzione più assoluta con la respinta della mozione di sfiducia nei confronti del ministro per le Politiche Agricole, Saverio Romano, già da tempo indagato dalla procura di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa.

È possibile, dunque, che si tratti di una mossa ideata ad hoc per mettere in secondo piano l′ennesima vergogna della politica italiana? Ciò che è certo, comunque, è che il ministro Brunetta non ha trovato (e probabilmente non troverà) strada facile nell′attuazione di questa sua stravagante proposta contro il certificato antimafia. Oltre al ministro dell′Interno Maroni (il quale, però, da parte sua, ha poi difeso apertamente lo stesso Romano), si sono opposti anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il Procuratore Nazionale Antimafia, Pietro Grasso, il presidente dell′associazione Libera, Don Ciotti, tutti gli esponenti dell′opposizione e, in particolare, Antonino Ingroia, il magistrato palermitano da tempo in lotta contro la mafia.

Intervistato da Repubblica, Ingroia ha espresso il proprio parere su ciò che potrebbe trasformarsi nell′ennesima beffa ipotizzata dalla classe politica italiana, analizzando la condizione della giustizia e della magistratura che, a causa di “pochi strumenti di protezione per evitare infiltrazioni e dei tanti tagli che ogni giorno causano sempre più insufficienze d′uomini”, potrebbe peggiorare sino al collasso. Inoltre lo stesso certificato, per il quale sono necessarie “delle verifiche svolte dalla procura”, ha anche lo scopo di stabilire quali siano “le imprese immuni dalla presenza di uomini di mafia” e, pertanto, assume un′importanza notevole nella lotta alla criminalità. Ingroia poi fa notare un ulteriore falla nel sistema italiano di prevenzione e lotta alla criminalità organizzata: la mancata approvazione di una legge antiriciclaggio.

“Il mafioso”, infatti, “può riciclare il denaro sporco tranquillamente perché ciò non è punibile in Italia”. Ebbene, se la lotta alla criminalità va compiuta nel migliore dei modi (e se ciò avviene, comunque, tra incertezze e difficoltà enormi), la “semplificazione” di un documento importante come il certificato risulta più che mai inadeguata. Il tema mafia non ha bisogno di alcun tipo di semplificazione. Semmai, possiamo tranquillamente affermare che è l′unica cosa in Italia che necessita del massimo sforzo possibile e dell′impegno di tutte le istituzioni.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org