Palermo per la maggior parte di noi è solo il capoluogo della Sicilia, una città ricca di bellezza ma anche di contraddizioni e di ferite che ne hanno segnato il volto e la storia. Palermo, per un tunisino di Lampedusa è la fine di una speranza, la miccia che fa scattare la disperazione e la rabbia. Scontri, violenze, la Polizia che carica e qualche decina di cittadini dell’isola che partecipano alla zuffa contro chi, con delle bombole in mano, minaccia di far saltare in aria un distributore di benzina. Violenza, figlia dell’esasperazione che ha portato un gruppo di tunisini a dar fuoco ad un capannone del centro di identificazione, dove sono detenuti in attesa di rimpatrio. Le condizioni del centro come sempre sono pessime, per via del sovraffollamento della struttura, ma la molla che pare aver scatenato il tutto sembra avere poco a che fare con tali condizioni. La verità è che un gruppo di tunisini ha scoperto che l’annunciato trasferimento a Palermo non sarebbe stato uno spostamento da una struttura ad un’altra, ma il rimpatrio a Tunisi.

Un rapido passaparola che si è diffuso tra chi il rimpatrio lo ha già subito e chi si trovava all’interno del centro di Lampedusa, che ha così deciso di reagire, stanco di aspettare una sorte ineluttabile e di vedersi strappare, con l’inganno, il diritto di costruirsi una vita migliore di quella lasciata in patria. Intendiamoci: nulla giustifica gli atti vandalici, soprattutto in una realtà come Lampedusa che, pur con mille ataviche difficoltà, ha dato prova di maturità, solidarietà ed accoglienza. Allo stesso modo, però, nulla giustifica quei cittadini locali che hanno approfittato dell’occasione per scaricare sugli “stranieri” una violenza becera fatta di sassi e di aggressioni a giornalisti e ad attivisti. Già, perché le aggressioni sono esclusivamente di matrice italiana e le hanno subite Alexandre Georges, attivista franco-canadese, “reo” di essere uno “straniero” impegnato per i diritti umani, e un giornalista di Sky con il suo operatore, insultati, spintonati per “aver creato il caos di questi giorni” e fornito “un’immagine distorta dell’isola”.

Ma qual è la vera immagine di Lampedusa? Quella di gente semplice che, poco tempo fa, si metteva in marcia accanto ai migranti che fuggivano dal centro per protestare insieme a loro, o quella che tira i sassi e chiede l’allontanamento di tutti gli “stranieri”? Forse questa bellissima isola è l’uno e l’altro, è lo specchio esatto di tante altre realtà italiane, con il solito mix di pregi e difetti. Nulla di più. E non è certo dell’immagine di Lampedusa o delle parole folli del suo sindaco (“Siamo in guerra, la gente a questo punto ha deciso di farsi giustizia da sola”) che bisogna occuparsi oggi, né degli atti vandalici. Ed è anche inutile commentare i discorsi idioti sul rispetto che lo straniero deve al nostro Paese, perché in nome di cosa chiediamo questo rispetto a chi viene trattato come un criminale, rinchiuso in un centro sovraffollato, marchiato dal bollo di una prefettura alla stregua di bestiame da allevamento, umiliato nelle proprie possibilità di migliorare la propria esistenza, sfruttato? Nessuo di noi, nelle stesse condizioni, sarebbe capace di restare calmo, di star fermo e di trattenere la propria rabbia disperata.

Se facciamo moralismi su questo, ergendoci ad ipocriti perbenisti, è solo perché siamo un popolo che non ha gli attributi per reagire ad una minima ingiustizia, un popolo che di fronte allo scippo del proprio futuro non agisce rabbiosamente come i tunisini ma preferisce lasciarsi morire di inedia, subire fino a quando ci mancherà l’aria. Il problema di fondo non sono né i lampedusani né i tunisini, ma l’assenza di una politica che negli anni ha saputo parlare solo in termini di sicurezza e di regole severe, replicando un modello unico variato solo per alcune sfumature, più o meno aspre. Non si è mai parlato di Uomo, non si è messa in atto, né a destra né a sinistra, alcuna politica dell’accoglienza e della conoscenza reciproca, non si è fatto alcunché per fomentare solidarietà, non si è fatto alcunché per eliminare il concetto di detenzione che sporca di lacrime e sangue i fogli della nostra Costituzione che parlano esplicitamente di accoglienza.

Si è preferito gettare su questo nulla un velo grigio di propaganda e di bugie, tra dati fasulli e crudeltà gratuite. In particolare la Lega ed il centrodestra sono stati gli aguzzini della nostra crescita civile ed oggi tacciono di fronte al loro fallimento. Un fallimento che ha fatto sì che su un’isola come Lampedusa, piccola e priva di numerosi servizi, dove una donna per partorire si deve trasferire almeno a Palermo, affrontando insieme ai familiari una spesa considerevole, si scaricasse la questione dell’accoglienza, del sovraffollamento di un centro famigerato, creando un luogo in cui, alla prima tensione, si rischia l’esplosione, che, per fortuna, a parte qualche episodio, non è ancora avvenuta.

E allora, cercando di variare il punto di osservazione, è ora che questo Paese smetta di focalizzare l’attenzione sull’episodio, sul “fatto”, sul sensazionale, e si guardi allo specchio senza nascondere le vergogne e le responsabilità politiche di chi per anni ha creduto di essere Dio in terra, giocando con la vita e con il futuro di centinaia di migliaia di esseri umani in cammino. È tempo di cambiare e di farlo radicalmente.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org