Sono passati 33 anni, eppure Peppino Impastato è ancora con noi. La sua voce, le sue urla ironiche contro i “potenti” di Cinisi restano impresse nella memoria, nella mente della gente. Come ormai di consueto, anche quest′anno nel paesino palermitano migliaia di persone giunte da tutta Italia si sono ritrovate per ricordare le gesta di un personaggio indimenticabile, partecipando al corteo dei cento passi ed alla manifestazione del 9 maggio, che ha posto fine ad una serie di dibattiti ed eventi iniziati quattro giorni prima e conclusisi con l′appello di Andrea Bartolotta, compagno di Peppino e membro dell′associazione omonima, rivolto alla comunità presente per l′occasione. La frase che ha attraversato la giornata è stata, come per una sorta di “fratellanza”, la celebre “ Restiamo umani”, pronunciata più volte e resa modello di quella lotta pacifista che era nelle opere e nelle intenzioni del giovane Vittorio Arrigoni, ucciso poche settimane fa nella Striscia di Gaza.

A 33 anni da quel terribile omicidio, la figura di Peppino Impastato è diventata sempre più il simbolo di una coscienza morale e civile che è presente in molti personaggi di oggi e che sempre più spesso si ritrovano da soli, isolati dalle istituzioni e dall′attenzione dell′opinione pubblica. Il 9 maggio diventa quindi una giornata per ricordare tutti coloro i quali hanno lottato (e lottano) difendendo anche le proprie ideologie, mantenendo salde delle convinzioni morali e delle idee sane e pulite nonostante le difficoltà incontrate, le pressioni da parte del mondo esterno, la corruzione del sistema sociale in cui viviamo. Peppino, con il suo instancabile attivismo, è sicuramente la figura principale di questo sentimento, ma non mancano molti altri a cui è doveroso offrire qualche riga e per i quali bisognerebbe portare più rispetto prestandovi una maggiore attenzione. Oggigiorno, sono tanti i giornalisti che hanno subito almeno una minaccia durante la propria vita professionale e molti  vivono in costante pericolo.

La strada del giornalista (e Peppino ne era un esempio eccellente) molto spesso è una vera e propria scelta di vita, un “arruolamento”, piuttosto che lo svolgimento di una professione. Scrivere, oggi, non è solo una passione, ma è anche un rischio e tutto ciò appare incredibile se paragoniamo le condizioni sociali di un tempo e la coscienza che si aveva della criminalità organizzata. Non v′è dubbio che al giorno d′oggi la sensibilità della gente nei confronti di un fenomeno così importante sia decisamente più esposta, soggetta a degli stimoli più frequenti, grazie non solo alle capacità comunicative di cui ci serviamo, ma ad un generale interessamento della comunità civile, oltre che al crollo di alcuni orribili tabù.

Tuttavia, la situazione dei giornalisti oggi non appare affatto migliore rispetto a quella di un tempo e il rapporto “Ossigeno” del 2010 lo dimostra chiaramente: ben 20 giornalisti (in realtà, nel numero, sono comprese anche le intere testate, dunque il numero dei giornalisti sale vertiginosamente), hanno subito una minaccia nel 2010 in Calabria; 16 nel lazio, 10 in Campania e Sicilia e ben 9 in Lombardia. Minacce che, come si evince dal rapporto, si differiscono per modalità, ma certamente mantengono un carico di pericolosità elevato, oltre che di destabilizzazione emotiva. È evidente, infatti, che l′intenzione della criminalità è proprio quella di spaventare la vittima al fine di far “tacere” la propria penna, renderla schiava di un′omertà fin troppo dilagante.

Tra i nomi più noti dei cronisti che hanno subito minacce dalla mafia troviamo alcuni esempi come Roberto Saviano, da tempo sottoposto ad una protezione intensiva e spesso costretto a restrizioni per necessità legate alla propria incolumità, Antonino Monteleone, giovane giornalista calabrese, collaboratore di Strill.it, RTV e curatore di un proprio blog online, Antonio Condorelli, giornalista catanese e collaboratore della trasmissione televisiva Report, Lirio Abbate, giornalista de L′Espresso, ed altri ancora. Alla base di tutto ciò resta senza alcun dubbio il ricordo di tutti coloro che, già molto tempo prima, avevano dimostrato grande coraggio nello svolgere il proprio lavoro ed una dignità immensa.

È il caso di Giovanni Spampinato, giornalista ragusano ucciso da una mano mischiata di mafia ed estrema destra, Mauro Rostagno, assassinato dalla mafia, Giancarlo Siani, giornalista partenopeo freddato dalla camorra, Cosimo Cristina, il giovanissimo cronista che raccontava dei fatti scomodi di Termini Imerese e che è stato legato sui binari, così come Peppino, Pippo Fava, il coraggioso padre de I Siciliani, Beppe Alfano, che aveva smascherato gli intrecci mafia-politica a Barcellona Pozzo di Gotto. Insomma, ancora oggi ci troviamo dinnanzi ad una condizione sociale che fa rabbrividire, dove la libertà di parola e di pensiero è legata agli interessi di alcuni editori o, nel peggiore dei casi, alla volontà di sicari senza pietà.

La figura di Peppino Impastato, così come quelle di tutti gli altri citati, dovrebbe però infondere maggiore coraggio non solo nell′opinione pubblica, ma soprattutto in tutti coloro che si apprestano ad intraprendere una delle professioni più belle al mondo, una professione che non può prescindere dall′esempio datoci nel tempo da uomini così innamorati della verità.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org