Mentre all’interno di questure e procure regnano caos ed incertezza su come agire in presenza di un immigrato risultato irregolare ad un controllo, ci pensa la Corte di Giustizia Europea a mettere un po’ di ordine ed a stabilire una regola certa a cui adesso bisognerà uniformarsi. Con la pronuncia di qualche giorno fa, la Corte ha infatti bocciato la norma sul reato di clandestinità introdotta dal governo italiano nel 2009, in quanto essa contrasta con la direttiva europea 115/2008 in materia di rimpatri di immigrati non in regola con il soggiorno. La normativa italiana sull’immigrazione è dettata dalla legge 189/2002 (la cosiddetta “Bossi-Fini”) e dalle successive integrazioni, come la legge 125/2008 (“pacchetto sicurezza”) e la legge 94/2009.

Le ultime misure legislative hanno introdotto il reato di clandestinità, in base a cui l’immigrato trovato senza permesso di soggiorno viene punito con una sanzione pecuniaria che va dai 5mila ai 10mila euro e con un automatico provvedimento di espulsione e di accompagnamento forzato alla frontiera. Nel caso in cui il migrante non adempia al provvedimento di espulsione è prevista la reclusione in carcere. Per la Corte di Giustizia ciò contrasta nettamente con quanto disposto dalla direttiva europea 115/2008 a cui tutti gli Stati membri dell’Ue devono uniformarsi e che impone tutta una serie di regole nell’esecuzione dei rimpatri, rovesciando il principio dell’immediata ed automatica espulsione previsto dalla legge italiana in materia, a vantaggio di misure non coercitive che tengano conto della dignità e dei diritti umani.

Ad esempio, il trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione, così come l’accompagnamento forzato alla frontiera, vanno effettuati esclusivamente se vi è effettivo pericolo di fuga o se lo straniero ostacola le procedure di rimpatrio, ma a patto che non vi siano altre misure meno coercitive ed ugualmente efficaci. Si esprime, dunque, la contrarietà alla detenzione:Il trattenimento – recita la direttiva europea – dovrebbe di norma avvenire presso gli appositi centri di permanenza temporanea”. Non in carcere, dunque. E nell’idea della Corte, probabilmente, nemmeno in centri che del carcere hanno tutte le caratteristiche…

Risulta evidente pertanto la dissonanza con i punti fondanti della legge Bossi-Fini (accompagnamento coattivo alla frontiera, permanenza nei Cie, detenzione e il termine di cinque giorni per abbandonare l’Italia). Un contrasto chiaro che, in questi mesi, aveva portato alcuni giudici a disapplicare la legge italiana, in attesa che arrivasse la decisione della Corte di Giustizia, a cui era stata rimandata la questione. Un caso su tutti: a Genova, il sostituto procuratore, Francesco Pinto, aveva applicato la norma contenuta nella direttiva europea, la quale, anche se non ancora recepita, può già essere applicata nell’ordinamento nazionale. In questo modo, un giovane senegalese, risultato irregolare ed arrestato per non aver ottemperato ad un precedente ordine di espulsione, era stato scarcerato.

A Firenze, invece, il Procuratore capo, qualche mese fa, ha diramato una circolare in cui invitava a non arrestare più alcun immigrato per il reato di clandestinità ed a limitarsi alla denuncia del suo stato di irregolare, lasciando ai singoli magistrati la valutazione sui provvedimenti da adottare. Adesso, con la decisione della Corte Europea si ribadisce che “gli Stati membri non possono introdurre una pena detentiva, solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionale e il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare su detto territorio”.

Per tale ragione, il giudice nazionale dovrà quindi disapplicare ogni norma interna contraria alla direttiva. In poche parole, il reato di clandestinità non è legale e di fatto non può più esistere nell’ordinamento italiano. L’ennesima dimostrazione che l’Italia è il Paese che, in Europa, ha attuato il regime più crudele e violento nei confronti dei migranti, andando contro quei principi di solidarietà e di rispetto dei diritti umani che sono il tratto distintivo di una civiltà, a maggior ragione quando si tratta di sanzionare dei cittadini, siano essi autoctoni o migranti.

In materia di diritti fondamentali della persona (così come su altre cose) non si dovrebbero mai fare distinzioni. Una lezione europea a Maroni, Berlusconi e soci, che hanno reagito alla sentenza con il consueto attacco all’Europa ed alle sue istituzioni. Nessun “mea culpa”, nessun pentimento. Gli omini verdi e i loro compari di coalizione non hanno un’anima per potersi pentire. Fosse per loro porterebbero l’Italia fuori dall’Unione: nel frattempo stanno provando a portarla fuori dalla civiltà.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org