L’Italia non si smentisce: passano gli anni, cambiano le motivazioni, ma continua ad essere la sanzionatissima pecora nera d’Europa. È di qualche giorno fa la notizia che la Corte di Giustizia Europea, interpellata dalla Commissione, ha condannato l’Italia per inadempienza rispetto alla Direttiva Europea sulle emissioni industriali. Una disciplina, quella dettata dalla direttiva in questione, che, se correttamente applicata, avrebbe permesso di prevenire e ridurre la contaminazione ambientale operata dalle industrie, attraverso un più pregnante controllo delle autorità, basato su un sistema di autorizzazioni, ossia le autorizzazioni integrate ambientali (AIA), e sul censimento delle emissioni inquinanti tramite i registri INES (inventario nazionale delle emissioni e loro sorgenti) e E-PRTR (European Pollutant Release and Transfer Register).

Il ministero dell’Ambiente si è affrettato a precisare che la sentenza emessa a Lussemburgo concerne il periodo precedente il 30 ottobre 2007 (data entro la quale i governi degli Stati membri avrebbero dovuto adottare provvedimenti atti all’adeguamento alla disciplina comunitaria in materia) e che, dal maggio 2008, il trend si è invertito e sono state rilasciate BEN 89 delle 157 richieste di autorizzazione AIA. Giustificazioni doverose ma non sufficienti. Soprattutto perché nessuno si è preoccupato di spiegare come mai alla data del 14 aprile 2009, ben oltre il termine fissato per il recepimento della normativa comunitaria, le autorità competenti non sapessero nemmeno quanti impianti ci fossero sul territorio nazionale né quali attività vi venissero svolte.

Un’incomprensibile “anarchia industriale” che peserà sulle tasche e sui polmoni di tutti i cittadini italiani che, a causa della colpevole inadempienza dei propri amministratori, oltre a dover pagare ancora una volta salatissime multe, continuano a vivere in un ambiente sempre più contaminato. Non sembra dunque esagerato affermare che, almeno sino a metà 2009, l’inquinamento in Italia è stato fuori controllo e le conseguenze in termini di salute le paghiamo un po’ tutti, in particolar modo chi vive a ridosso di zone fortemente industrializzate. La strettissima connessione tra inquinamento ambientale e l’insorgere di gravi malattie è sempre più evidente e, in taluni casi, è stata anche scientificamente provata.

È il caso di Cornigliano, quartiere di Genova sede di un imponente stabilimento siderurgico (Ilva), dove sono state eseguite delle accurate indagini epidemiologiche che, dimostrando il più elevato tasso di incidenza tumorale  rispetto alle altre zone di Genova, hanno permesso la chiusura delle “zone a caldo” dello stabilimento-avvelenatore. Analoga strada (a distanza di qualche anno) è stata intrapresa a Taranto (sede di un altro stabilimento Ilva), dove semplici cittadini, stanchi di vedere le malattie dilagare tra i propri cari, stanno avviando raccolte firme, petizioni e sempre più frequenti manifestazioni per spronare le autorità ad avviare indagini epidemiologiche che possano salvare il futuro di una città già oltremodo avvelenata. Una città dove i bambini, se non nascono già con patologie più o meno gravi, rischiano seriamente di ammalarsi bevendo il latte materno o semplicemente respirando.

E non possono considerarsi molto più fortunati i bambini che nascono a Milazzo o nel triangolo Melilli-Priolo-Augusta che ospita il polo petrolchimico siracusano. Zone fortemente inquinate nelle quali si registrano preoccupanti incrementi nei tassi di malformazioni e di incidenze di malattie gravi, ma nelle quali tarda ad arrivare un’adeguata reazione cittadina ed istituzionale. Malgrado le persone si ammalino, malgrado chiunque viva in quelle zone non possa fare a meno di notare le continue, maleodoranti fumate prodotte dai camini degli stabilimenti, malgrado capitino degli “incidenti” che facciano preoccupare (nel siracusano se ne verificarono 3 tre tra ottobre e novembre 2008), gli avvelenati cittadini restano a guardare come in trance. Ma quest’apatica inerzia è un lusso che non possiamo più permetterci, perché dell’aria non possiamo proprio farne a meno, senza aria non c’è vita.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org