Trovare un lavoro in Italia è quanto meno complicato in questo periodo; la situazione è delicata, la crisi economica mondiale non ha fatto altro che incidere negativamente sul tasso di disoccupazione nazionale che, nei primi mesi del 2011, è stato registrato intorno all’8,6%. In un contesto del genere si fa un gran parlare della necessità di rivoluzionare l’idea stessa di “lavoro”, della necessità di essere “creativi” ed inventarsi nuovi profili professionali. Un consiglio che è stato messo in pratica, con grande impegno, da uno studente 25enne originario della provincia di Reggio Calabria. Il giovane non si è fatto scoraggiare dalle difficoltà in cui si è imbattuto nella ricerca del lavoro ed ha ordito un ingegnoso piano per procurarsi un impiego. Venuto a conoscenza che il proprietario di un noto locale di Pescara aveva subito il furto dell’automobile e del computer, si è recato a San Luca (zona calabrese ad alta densità mafiosa) presso la casa del nonno defunto ed ha contattato telefonicamente l’imprenditore derubato, fingendosi un avvocato e prendendo un appuntamento in nome di un suo “misterioso cliente” che avrebbe potuto aiutare l’imprenditore.

Si è poi recato a Pescara e, incontrato l’esercente, si è finto un giovane rampollo della ‘ndrangheta offrendo all’uomo “protezione” in cambio di un posto di lavoro. Sfortunatamente per lui, però, l’uomo ha subito contattato la Squadra Mobile di Pescara ed il giovane, incensurato, è finito in manette. Una vicenda che ha del tragi-comico: da una parte la tragedia di chi, nel cercare lavoro, si dispera ed arriva a provarle davvero tutte, dall’altra però l’ingenuità (o meglio la scempiaggine) dell’arrivare a fingersi criminale pur di lavorare. Quanto accaduto però la dice lunga anche su una mentalità che si pensava ormai sconfitta e che invece è ancora ben radicata (specie nelle zone ad alta densità mafiosa): l‘appartenenza ad una famiglia mafiosa sembra ancora essere considerata un vanto.

Quel 25enne non solo non si è vergognato di presentarsi davanti ad un potenziale datore di lavoro con la qualifica di “criminale”, ma anzi l’ha considerata un vero e proprio titolo di merito in grado di garantirgli un posto di lavoro. Il mafioso è visto come un tipo furbo, un uomo “d’onore” con dei principi e che sa farsi rispettare. Niente di più agghiacciante. Il mafioso è solo un criminale. Non c’è nessun “onore” nel fare saltare in aria persone che rappresentano lo Stato o nello sciogliere nell’acido dei bambini inermi. Non è onorevole pretendere che persone che lavorano onestamente ti paghino tutti i mesi per evitare che il loro locale venga incendiato o, peggio, che accada qualcosa a loro o ai loro cari.

Quello che si ottiene con la forza, con la violenza, non è mai rispetto ma una cosa ben diversa: paura. Crescere in ambienti in cui la mafia fa ancora paura non giustifica però il perdurare di una mentalità tanto retrograda ed inaccettabile. Siamo nel 2011, siamo tutti molto più istruiti, siamo cresciuti con le immagini delle stragi del ‘92 (che inevitabilmente ci hanno segnato), sappiamo cosa è in grado di fare le mafia ma sappiamo anche che la sua forza è proprio in quella mentalità, nell’inconfessabile paura che ciascuno di noi ha dentro. Riuscire a vincere quella paura, equivale a privare la mafia di tutta la sua forza e vederla rimanere semplicemente ciò che è: “Una montagna di merda”.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org