Capita una mattina di passare vicino all’edicola, buttare un occhio di sfuggita alle riviste impilate e vedersi Julian Casablancas e compari (gli Strokes) messi lì in copertina di XL. E capita anche, a quel punto, di chiedersi: ma non si erano sciolti? Il tempo di pagare e ti accorgi che la risposta è no. O meglio, dopo 5 anni di assenza e presenze ectoplasmiche, sono tornati con dieci nuove tracce raccolte nel loro album “Angels”. A leggere la copertina sembra proprio uno di quelli in stile Strokes:  canzoni brevi, rapide, delle schegge che ti si piantano in testa come coltelli per un totale di soli 38 minuti. Ma c’è dell’altro. Tanto. Ciò che ha fatto loro guadagnare le recensioni entusiaste di molti colleghi, in realtà ci rende un po’ perplessi.

Per uno che si è innamorato di pezzi sporchi come Reptilia risulta difficile avvicinarsi a questo stile un po’ diverso e dispersivo nei generi toccati. Che si tratti di maturità o scelta di cambiamento importa poco, basta che non perda quell’anima profonda che ci ha fatto innamorare di loro. Ma analizziamolo questo cd. Machu Picchu è sicuramente un bel pezzo, molto ballabile e piacevole,  anche se un po’ troppo sull’onda elettronica stile MGMT per essere abbastanza Strokes. Per fortuna che, sul ritornello, Albert Hammond Jr ci mette la sua con qualche piacevolissima schitarrata. You’re so right è lontanissima dal sound scanzonato del loro album “Is this it”: molto cupa, sintetizzata, rarefatta anche la voce di Casablancas.

Un esperimento noise che non ci convince troppo. Ci piace invece Under cover of Darkness, perché è più loro e Casablancas alla voce dà il meglio di sé in questi pezzi più sullo stile di You live only once. Anche la voce lontana, più indipendente e meno studiata di Life is simple in the Moonlight ci piace.  Anche i testi sono più criptici, se vogliamo meno immediati di quelli di un tempo. Di sicuro c’è che nel panorama indie non sono certo un gruppetto qualsiasi, hanno una loro storia dietro.

Può capitare che, per dare una svolta dopo un lustro di inattività, serva una ventata di aria fresca, anche se questa è un po’ troppo invernale e stona con il ricordo che ne avevamo. Dal paragone ovvio con i Libertines emerge una genialità più offuscata e meno brillante, ma sicuro maggiore serietà e coscienza di gruppo più che individuale. Per questo ci piacciono ancora e aspettiamo qualche altro lavoro, magari con meno sorprese.

Penna Bianca –ilmegafono.org