Una settimana fa, si è finalmente conclusa una delle tante storie del cattivo gusto che contraddistinguono il devastato scenario sociale di un’Italia sempre più allo sbando. La Corte di Cassazione ha confermato per Salvatore Cuffaro, ex presidente della regione Sicilia, la condanna a 7 anni di reclusione per i reati di favoreggiamento aggravato alla mafia e violazione del segreto istruttorio. L’intera vicenda ha inevitabilmente puntato i riflettori sul sistema politico-sociale del nostro Stivale ed il quadro che ne è emerso è tutt‘altro che positivo. L’Italia del cattivo gusto, l’Italia della vergogna. Un’Italia in cui tutto è lecito e perdonabile. Uno Stato in cui è pazzesco aspettarsi che chi, nel proporre la candidatura di Cuffaro a senatore (malgrado la condanna in primo grado) se ne era assunto la responsabilità politica, adesso faccia un passo indietro o, quanto meno, ammetta l’inopportunità di aver affidato un compito così importante ad un pregiudicato per reati connessi alla mafia.

La stessa inopportunità e lo stesso cattivo gusto che inducono ancora oggi, malgrado la condanna definitiva, alcuni esponenti del mondo politico italiano a conferire al condannato Cuffaro lo status di vittima e, in casi davvero limite, quasi di eroe. Così ci si preoccupa del suo stato di salute e c’è chi, dopo appena 3 giorni di reclusione, lo ha trovato già visibilmente sciupato; si arriva persino a paragonare il dolore di sua figlia al dolore di Sonia Alfano che, è bene ricordarlo, è figlia di una vittima di mafia e non di un “amico” dei mafiosi. Inoltre l’ex senatore è stato da più soggetti elogiato per aver rispettato la sentenza ed essersi costituito. Rispettare una sentenza, costituirsi dopo una condanna, cose che dovrebbero essere considerate normali in uno Stato di diritto, ma che nell’Italia di Berlusconi cominciano ad essere vergognosamente percepite come non necessarie, come meritevoli di elogio e stima. L’Italia però non è solo questa. C’è anche la lotta alla corruzione, all’illegalità e, soprattutto, alle mafie.

Fanno parte di quest’Italia “pulita” i cittadini che, seguendo una tradizione inventata dallo stesso Cuffaro, si sono radunati davanti a Palazzo D’Orleans, la sede della Presidenza dell’Assemblea regionale, per festeggiare la condanna con cannoli e spumante. La condanna dell’ex politico siciliano è stata molto apprezzata da tutti quelli che da anni sono impegnati nella lotta alla mafia, tra loro Benny Calasanzio, nipote di due vittime innocenti di mafia ed autore del libro “Sotto processo“, un‘analisi di tutti i procedimenti giudiziari pendenti sui potenti del nostro Paese. “Nel 2006 durante una puntata di Annozero in cui ero ospite – ci ha raccontato Calasanzio – Totò Cuffaro ha infamato la memoria di mio nonno e di mio zio, Giuseppe e Paolo Borsellino, insinuando che la mia attività antimafia ed anticuffariana fosse dettata dalla voglia di ottenere un risarcimento. Si era portato un dossier sulla mia famiglia parziale ed inattendibile, che non gli è in alcun modo servito a difendersi dalle accuse di collusione con la mafia e che ha consegnato quella puntata alla storia grazie alla performance imbarazzante del senatore colluso con la mafia”.

“Ora, a distanza di anni – ha concluso Calasanzio – io vivo la mia vita a testa alta, lui passeggia in una cella a Rebibbia. Forse avevo ragione io”. Un altro nemico storico di Salvatore Cuffaro è Gaetano Alessi, un giovane blogger che (ironia della sorte) è nato nella stessa Raffadali dell’ex senatore e che quest’anno, con il suo giornale Ad Est, ha vinto il premio Giuseppe Fava. “Con la condanna di Cuffaro ed il suo ingresso in carcere – ha dichiarato Alessi – viene colpito in parte quel che in Sicilia lega, da sempre, economia, massoneria, politica, mafia e giornalismo deviato. Un sistema, il cuffarismo, che noi abbiamo combattuto sin dai suoi albori proprio nel Comune di nascita dell’ex senatore”. “Raffadali – ha continuato Gaetano Alessi- è divenuto luogo di scontro tra il potente, con tutta la sua mastodontica macchina di clientela, ed i ragazzi forti solo del proprio entusiasmo e del loro piccolo giornale di frontiera. Otto anni in cui non ci è stato “negato” niente dei sistemi intimidatori della mentalità mafiosa, otto anni dove però è cresciuta una generazione di siciliani dalla testa alta”.

“Otto anni dopo noi abbiamo vinto – ha concluso Alessi – ma in quello che è il nostro 25 Aprile non c’è gioia. Perché con la condanna viene ratificato che per 10 anni la nostra regione, e di riflesso il nostro Comune, è stata un’emanazione di cosa nostra. Da siciliani che amano ogni angolo della propria terra è una notizia che non può farci felici. Ora c’è da ricostruire, ma con la convinzione che da oggi nella nostra splendida ma martoriata terra si possa cominciare a respirare un fresco profumo di libertà”.  Se è innegabile che neanche un cannolo per ogni anno che Cuffaro passerà in carcere potrà rendere meno amara la realtà di una Sicilia in mano ai mafiosi sino a troppo pochi anni fa, la consapevolezza che il sistema comincia a “creparsi”, che comincino ad essere condannate anche persone che solo ieri venivano considerate “intoccabili”, lascia sperare che le cose possano cambiare davvero in Sicilia e in Italia.

Anna Serrapelle- ilmegafono.org