In giro per Siracusa sono diventati una presenza massiccia i mendicanti. Certo, ne abbiamo sempre avuti, come ovunque. E se sono aumentati vistosamente è perché sono la ovvia risultanza di un sistema politico-economico che nel suo ciclo produttivo genera… materiali di scarto. Sono anche dei vuoti a perdere: consumati fin quando servivano, poi si buttano. Ma non è questo che voglio focalizzare, quanto invece un segmento significativo di questo mondo dolente. A Siracusa, come altrove sicuramente, è diventata evidente la presenza dei mendicanti di pelle nera. Prima, fino a qualche anno fa, non c’era. Io lo so con quale carica di speranza e illusioni erano arrivati da noi. Mi ricordo la loro incapacità di piangersi addosso ed essere pronti a ripartire, tra di noi, dopo le sconce nefandezze subite nel lungo viaggio per raggiungerci: in mezzo a sfruttamenti in terra nord africana, in mano alle mafie internazionali, tra cadaveri galleggianti e sorsi di urine, tra gente in divisa e con la mascherina e giudici altissimi che ne giudicavano… il diritto a poter rimanere in Italia. Dopodiché l’odissea ricominciava, non più tra le dune del Sahara e gli scempi gheddafiani in Libia e nel Mediterraneo, ma negli incroci nebulosi della dinosaurocrazia italiana e della pseudo politica di umanoidi al potere che sempre cercano di sbranarne gli ultimi brandelli di umanità.

Ma con tutto ciò, una naturale e radicata voglia di vivere li faceva volgere verso il futuro. E allora la danza e la musica ne scuoteva i corpi liberandoli dalle incrostazioni della disperazione, facendo di nuovo risplendere una speranza ingenua ma tenace. Questo non lo vedo più o perlomeno lo vedo poco. Il mondo degli immigrati che oggi mi spuntano in parrocchia o che vedo aggirarsi per Siracusa sono gente stanca. Molti di loro si erano sistemati in Italia, specialmente al nord. La famosa crisi che stiamo vivendo gli ha fatto perdere il lavoro. Quindi la casa. Quindi la prospettiva  di un possibile radicamento nel territorio. Quindi la speranza di vivere con la loro famiglia e mandare i loro figli a scuola. A due passi da loro c’è l’espulsione se un lavoraccio non lo trovano. Altri, avendo eletto domicilio presso la mia parrocchia, ritornano a Siracusa per tentare di definire la loro posizione legale in Italia, o per vedere che fine ha fatto un ricorso contro il decreto di espulsione e la canzone che gli cantano è sempre la stessa: ritorna fra otto giorni, no fra un mese, no tra sei mesi cioè fra un anno… .mai. E chi era sceso da Milano lasciando il lavoro, convinto di sbrigarsi in tempi ragionevoli, si ritrova sperduto nel labirinto oscuro. Ma una certezza l’ha trovata: ha perso il lavoro.

Mai visti tanti mendicanti neri in città. La fabbrica produce. Di poveracci del tutto indeboliti socialmente e senza alcuna garanzia e quindi ricattabili ce ne sono a quintali in giro. La casa madre è l’italico clandestinificio, figlio di leggi e procedure  basate sulla paura (l’uomo nero ci mangia tutti! I musulmani ci arabizzano! Mamma li turchi!). Le filiali sono diffuse  su tutto il territorio nazionale e funzionano bene con la copertura ideologica che lo Stato e la cultura (si fa per dire…) imperante gli dà. Mi provoca il voltastomaco vedere già accese in città le luminarie di Natale. Saranno di nuovo centinaia di migliaia gli euro che gli enti pubblici spenderanno per creare “l’atmosfera natalizia”. E poi, allo scoccare della fatidica mezzanotte, nelle cattedrali andrà in onda il rito dei pontificali luccicanti, polifonici, commoventi, dove autorità civili, religiose e militari si scambieranno aristocraticamente gli auguri. Forse gli angeli in cielo, in quella santissima notte, non cantano  più “Gloria a Dio….” ma “Andate tutti a f….”, mentre un tepore di dolcezza natalizia con la presenza vivente di Dio si avvertirà davanti alla stazione ferroviaria tra i barboni, i marocchini e i…negri, in qualche casolare diroccato senza acqua e senza luce.

Certo, quel bambino ebreo tornerà e starà ancora fra il moderno bue e il moderno asinello, che altro non sono che questi esseri rottamati nei quali hanno ucciso la speranza, portandoli a mendicare qualche centesimo. E la fregatura è che il centesimo a Natale la gente glielo dà e così si sentiranno più buoni e potranno farsi la santa comunione mischiati, nella solenne navata del duomo, ad autorità compunte  e clero salmodiante. E l’indomani tutti davanti al televisore per la romana benedizione urbis et orbis. Sul serio c’è un po’ da aver paura a passare per una strada dove stazionano, specie a sera inoltrata, gruppi di immigrati. La stessa paura che provocano i branchi di cani randagi, capaci, se non di assalirti, almeno di farti sentire minacciato. A questo li vedo ridotti tantissimi stranieri: appunto: stranieri. Messi lì, come su uno scaffale di supermercato per essere presi e utilizzati all’ occorrenza e poi, giustamente, come cose qualunque, buttate nel ripostiglio.

E troppi si sono convinti di essere davvero delle cose, alla mercé di tutti. A me piace chiamarli “stranieri”. Meno male, non sono cioè “Cosa Nostra”. Sono estranei rispetto alla mafiosità che sta dietro tanti comportamenti emarginanti. Una mafiosità che verrebbe da dire: è invincibile. Niente diritti, niente  doveri. Solo favori e interessi privati. Il teatrino degli arresti di capi mafia non mi ha mai convinto. Eliminato un capo mafia se ne fa subito un altro. È la mafia intesa come cultura, intesa come organizzazione sociale e del lavoro che andrebbe focalizzata e sistematicamente combattuta. Ma se si facesse questo, cosa rimarrebbe del nostro Bel Paese? Che cosa rimarrebbe? Immersi in un brodo di coltura mafioso, che speranza abbiamo noi e che speranza possono avere quelli che vengono da noi ? Eppure questa massa di mendicanti, che sono l’icona dei cittadini asserviti ai padroni a cui elemosinano una possibilità di vita, sono la dimostrazione del fallimento di una civiltà senza nerbo etico. Altro che buon Natale! Buone orge e benedette! Il Cristo se la fa con gli animali. E gli animalizzati. Lontano da Palazzi e Cattedrali.

Padre Carlo D′Antoni -ilmegafono.org