“Per ora noi la chiameremo felicità” è il nuovo cd di Vasco Brondi, alias Le luci ella centrale elettrica. Che poi di nuovo c’è ben poco. C’è la stessa struttura dei testi: frasi montate in cut-up, apparentemente sconnesse tra di loro nel sottolineare le ironie della vita e far risaltare l’umanità contro la materialità della nostra epoca. Dieci canzoni per rituffarci nuovamente con tristezza nelle nostre vite. L’urlo generazionale che urlo non è. La disperazione fine a se stessa. Le stesse parole, le stesse melodie. Nulla è cambiato. E non cambia neanche Brondi. Il sottofondo e gli sfondi son sempre gli stessi: le periferie industriali, la chitarra acustica, la minima elettronica crudele alla P.G.R., l’impegno senza speranza, gli ostacoli insormontabili, la depressione di una generazione. Blocco, stallo. È questa la situazione evidenziata da Brondi. Nulla si muove, nulla si modifica. Non si progredisce, non si cammina, non si cambia.

Perché? Tutto è ingessato, tutto ti rema contro quando hai meno di 30 anni e l’unica cosa che ti resta da fare è deprimerti. Ci sono cose che quando hai 15 anni ti fanno incazzare. Le stesse cosa a 20 anni continuano a farti incazzare e magari provi anche a cambiarle. Poi ti ritrovi di colpo ad avere 25 anni, disoccupato, e rinunci anche ad incazzarti. Gli eterni giovani quarantenni che ci hanno fregato anticipando i tempi di 6 anni. Nel video di Cara catastrofe, una ragazza nel mezzo di una rotonda balla nel solipsismo delle sue cuffie, nel mezzo di quella che sembra indifferenza generale di un panorama urbano che ci è familiare. Quindi “vieni a vedere a l’avanzata dei deserti tutte le sere, a bere per struccarti” e “a scrivere sui muri che mi pensi raramente”. Che fare? Nulla. “Partigiano portami via, saremo come dei dirigibili nei tuoi temporali inconsolabili, dammi 50 centesimi, dammi 50 centesimi”.

In più “ti diranno che sei poco produttiva proprio adesso che l’America è vicina” (Quando tornerai dall’estero). Eventi inconsistenti riempiono le nostre vite. Impressioni istantanee accostate senza punteggiatura come un Joyce del nuovo millennio. “Costruiremo dei monumenti assurdi per i nostri amici scomparsi e vieni a vedere l’avanzata dei deserti, tutte le sere a bere per struccarti, useranno delle nuvole cariche di piogge, vedrai che scopriremo delle altre americhe io e te, che licenzieranno altra gente dal call-center, che ci fregano sempre”. Come avevamo già evidenziato nel primo cd, neanche l’amore ci salva. Brondi parla de L’amore ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici: “Fare l’amore nei container e non poterti raggiungere perché ci sono le targhe dispari” e “andremo a prendere freddo da qualche parte”.

La poesia di Brondi ci colpisce con un fendente. Non fa piacere. Non fa bene. Fa venire l’angoscia. Ci fa sentire vivi, ci fa soffrire in questo periodo di superficialità. Unica pecca è quella di non cambiare nella musica e nelle parole. Può risultare ridondante ascoltarsi i due cd di fila. Ma forse anche in questo si ravvisa l’idea di stallo di cui parlavamo. Non ci dà speranza, neanche un minimo bagliore. A noi chiederci se un giorno ci sveglieremo, ai tempi dei licenziamenti, volendo il pane e anche le rose. Per ora noi la chiameremo felicità pur accontentandoci di pane (poco) e raffermo.

Penna Bianca –ilmegafono.org