Immaginate un’amena frazione delle colline metallifere. Boschi di castagno, silenzio, colline verdeggianti tutto attorno. È proprio qui a Boccheggiano che incontriamo i Modena City Ramblers, di cui si fanno portavoce i tre ricci del gruppo: Franchino, Davide Dudu Morandi, Massimo Ice Ghiacci. Perchè il gruppo emiliano non si vergogna certo di esibirsi al locale campo sportivo in occasione del festival della birra. Sotto i castagni, birra alla mano, iniziamo la nostra chiacchierata.

Il vostro ultimo lavoro si intitola “Onda libera” che ne è stato di quel movimento di giovani?

Beh, in realtà ne sappiamo ben poco. Nostra intenzione era quella di parlare di libertà nelle sue molteplici accezioni. Ci sembrava che quel movimento ben interpretasse, in una sua accezione, questo concetto così vasto. È un movimento che abbiamo incrociato più volte per esempio nelle università, però per ragioni anagrafiche siamo un po’ lontani dai quei giovani. Sicuramente la latitanza che ne è seguita è un segno dei tempi che corrono. È quanto mai evidente che al potere non serve più la violenza. C’è sicuramente una crisi di valori che persiste e persisterà, ma, prima o poi, certi ideali, certe convinzioni torneranno fuori, è ciclico. Per fare un esempio: la crisi della sinistra ben rappresenta questo momento in cui mancano punti veri di riferimento. Ora come ora c’è un indubbio riflusso.

Di fronte a questa situazione che avete descritto, Francesco Bianconi in un′intervista diceva di volersene andare dall’Italia, un ambiente per lui deprimente e senza speranze. Qual è la vostra opinione in proposito?

Alla sua età avremmo fatto lo stesso ragionamento. Il problema è che siamo troppo vecchi. Sicuramente siamo troppo in là con gli anni per scappare ed è difficilissimo cambiare le cose. Il linguaggio artistico va di pari passo con l’età anagrafica: dieci anni fa scrivevamo cose diverse e probabilmente avremmo reagito come Bianconi. Ma questo è un discorso più ampio. Prima si aveva il confronto con i mostri sacri della nostra musica e c’era più possibilità di emergere, oltre ad un ambiente musicale più stimolante. Adesso per un gruppo giovane è più difficile, ha anche meno possibilità di quelle che avevamo noi quando iniziammo. Forse c’è anche meno interesse. Prima c’erano iniziative come quelle delle posse più dirette o anche Bandabardò, Africa Unite, Maomao. Il problema è che dovrebbero essere i giovani a farsi sentire, a rivendicare un ruolo, non i vecchietti come noi.

Nella vostra storia vi siete spesso confrontati con i temi di attualità e avete trattato del sociale nelle vostre canzoni. A chi dice che la vita non va confusa con l’attualità e la musica non dovrebbe occuparsene, voi che rispondete?

Se la musica si confronta con la vita, la vita è fatta di idee e anche di politica. Qualunque artista fa politica, perché anche il disinteresse è un gesto politico. È possibile non parlare di certi aspetti della nostra vita, ma è una scelta. Certo non bisogna forzare questa affermazione. Esistono espressioni musicali validissime come la musica elettronica o quella psichedelica che, per loro natura, non parlano di temi sociali.

Come valutate il panorama musicale italiano odierno? C’è qualche gruppo o solista che apprezzate particolarmente?

Come dicevamo c’è meno spazio per chi si affaccia oggi sulla scena. Il lavoro delle etichette indipendenti è importante ma difficile. Ci sono esperienze musicali interessanti come quella degli Zen Circus. Si osserva un cambiamento radicale anche nella cultura musicale. Adesso certi artisti hanno un successo immediato, esplosivo ma effimero. Programmi come X Factor o Amici portano alla ribalta giovani di talento, ma il mercato discografico li sfrutta fino all’osso e poi li tritura: “Avanti il prossimo” e via. Dobbiamo anche considerare che in periodi di crisi si va sempre sul sicuro. Pensiamo alla produzione di cover e “best of” di questo ultimo periodo. È un prodotto che vende sicuramente. Perché investire in altro?

Avete parlato di crisi. In un periodo come questo cosa ci si guadagna a suonare? L’avvento delle nuove tecnologie digitali farà sparire i Cd con i ricavi connessi?

A suonare ci si guadagna ben poco. Il discorso magari è sul mantenersi. Anche qui il cambiamento culturale è evidente. Quando eravamo giovani noi ci si riuniva in gruppo ad “ascoltare” un intero Cd. C’era la voglia di musica, la voglia di ascoltare. Adesso la musica rischia di perdere significato se lasciata scorrere nel solipsismo delle cuffie. È colpa anche di chi non concepisce gli album come sistema olistico ma come insieme di brani che potrebbero tranquillamente essere separati. Una volta, l’album aveva una sua bellezza estetica, c’era uno studio meticoloso di grafica, faceva piacere possederlo. La colpa non è del pubblico, ma è di chi non ci ha pensato in tempo e ha lasciato squagliare un certo modo di ascoltare. Manca una educazione.

C’è ancora spazio per idee forti come quelle che animavano il nostro panorama musicale 20-30 anni fa?

Mancano dei miti generazionali. Quelli che c’erano allora erano persone speciali con un’industria, certo, ma anche un pubblico a supporto. Erano concepiti come veri e propri idoli. Adesso tutto è veloce ed effimero e non si ha il tempo di affermarsi. Forse c’è anche meno coraggio da parte di chi dovrebbe farsi sentire. Anche la televisione ha le sue responsabilità. Prima passavano i live. E poi c’erano le radio libere. Capisci che in un panorama del genere era più agevole emergere e c’era pluralità o, se preferisci, democrazia. Adesso se accendi la radio ti può capitare di ascoltare 3 stazioni che mandano tutte e tre, anche in contemporanea, lo stesso brano scelto in una rosa di massimo 20-30 non di più.

Eppure voi resistete. Ma qual è la ricetta della vostra longevità come gruppo?

Fondamentalmente perché ci vogliamo bene! Questo penso sia il nostro punto di forza. Per il resto non nascondiamo che proprio per la nostra natura, anche aperta a nuovi membri e camaleontica, è stato difficile gestire i rapporti con la pubblicità e il marketing.

Il fatto di non essere mai apparsi con frequenza in tv o sulle pagine della musica più ascoltata e commerciale vi fa sentire gruppo di nicchia?

Noi non ci pensiamo come tale. Non ci mettiamo davanti a uno spartito o in sala studio dicendo: “Facciamo un lavoro di nicchia”. Anzi, per nostra stessa natura abbiamo sempre instaurato un rapporto paritario col pubblico, e verso chi ci ascolta siamo stati sempre molto aperti. La massa non ci ha mai spaventato. È inutile nascondersi dietro un dito: vendere di più, apparire, non ci dispiacerebbe. Non ci nascondiamo da nessuno. Se qualcuno ci chiama in televisione andiamo, mantenendo certò la nostra identità e la nostra dignità, ma andremmo tranquillamente e volentieri. Ormai siamo grandi e vaccinati. Il mercato non ci fa più paura.

Penna Bianca -ilmegafono.org