È un disperato appello quello che ci giunge ogni giorno dalla Calabria, una delle regioni del Mezzogiorno più colpite dallo strapotere della criminalità organizzata. È l′appello di quella società pulita, composta da magistrati, forze dell′ordine e cronisti, che chiede aiuto alle forze politiche, ai cittadini onesti di tutta Italia. Una società onesta, dunque, all′interno di un′altra società, a compimento di una tale assurdità che colpisce una terra alle prese con una vera e propria guerra, dove due schieramenti si contrappongono con costanza, colpendosi a vicenda. Negli ultimi mesi, però, la situazione sembra essere peggiorata irrimediabilmente. L′aria che si respira in Calabria è diventata soffocante, tesa.

Dal mese di gennaio, la ′ndrangheta ha sferrato una serie di attacchi sempre più diretti e potenti alla magistratura, alle forze dell′ordine e ai giornalisti calabresi. Proprio questi ultimi, in un accorato appello registrato nella puntata di Annozero di giovedì scorso, hanno voluto opporsi alloffensiva mafiosa, reagendo con coraggio e rabbia alle intimidazioni subite. Hanno voluto opporsi mettendo la propria faccia, il proprio volto dinnanzi alle telecamere, a milioni di telespettatori incollati alla tv. Perché il pericolo più grande è che la gente li lasci soli o, peggio, che non conosca affatto il grande sacrificio a cui questi uomini vanno incontro, ogni giorno.

Eppure non sono eroi. Non amano definirsi tali. Questi sono uomini veri che svolgono il proprio mestiere, spesso in condizioni precarie. Così come i magistrati, puntualmente minacciati perché troppo operativi, troppo interessati a colpire le cosche. O le forze dell′ordine, costantemente attive su ogni fronte, alle prese con arresti, sequestri, confische. Una vera e propria guerra che non accenna a concludersi. Una guerra in cui la situazione è sempre a vantaggio dei “nemici”, della ′ndrangheta, perché favorita da una condizione economica più che sicura; dall′omertà e dalla paura della gente; dalla forza prepotente delle armi. Sono stati tanti, infatti, i casi in cui la criminalità organizzata calabrese ha colpito a fondo, nel cuore di questi cittadini onesti. Uno fra tutti (il primo di una lunga serie) è stato senz′altro quello della bomba esplosa dinnanzi al tribunale di Reggio Calabria.

E poi tutti gli altri episodi agghiaccianti: il ritrovamento di un′automobile carica di ordigni rudimentali a pochi passi dal corteo in cui si trovava il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano; le minacce di morte rivolte ai due procuratori Giuseppe Pignatone e Mario Spagnuolo, rispettivamente operanti a Reggio Calabria e Vibo Valentia. Le minacce al procuratore di Palmi, Giuseppe Creazzo. Fino all′ultimo evento, un atto intimidatorio rivolto ancora a Pignatone, risalente a qualche giorno fa, quando un bazooka è stato ritrovato a pochi passi dal tribunale di Reggio Calabria. Purtroppo, però, il raggio d′azione della ′ndrangheta è piuttosto ampio, tende a colpire un po′ ovunque e chiunque si ponga di traverso ai progetti criminosi delle ′ndrine.

Probabilmente, come è stato detto, è proprio sui giornalisti che la rabbia delle cosche  si concentra maggiormente. Perché sono loro i primi a scrivere degli ambienti criminali. Sono le parole pubblicate in un giornale a colpire in pieno petto il boss del quartiere, l′affiliato di un clan. Le parole tagliano come lame affilate. Articoli pubblicati sui quotidiani; nomi, cognomi e fatti che minacciano la stabilità e la “dignità” di una cosca. Il pericolo, troppo grande, che la gente cambi idea, si rivolti contro.

Se la criminalità organizzata, infatti, fa particolare affidamento su uno o più politici, è altresì nota l′importanza che  il consenso sociale riveste all′interno dell′organizzazione criminale. E i giornalisti, che sono gli elementi più vicini al popolo (perché  ad esso si rivolgono), sono anche i più a rischio. Negli ultimi due anni e mezzo, infatti, ben 23 cronisti calabresi sono stati minacciati e, solo nel 2010, ben 13 di essi hanno ricevuto intimidazioni. Un trend negativo che dimostra come la ′ndrangheta stia accentuando sempre più la propria offensiva.

Ma è proprio la sostanza delle minacce a far rabbrividire: buste con proiettili recapitate nelle abitazioni, auto incendiate, fotografie delle mogli con il proprio bambino a passeggio, telefonate ricevute nelle redazioni dei giornali o addirittura a casa. Se si aggiunge, inoltre, che questi stessi giornalisti svolgono il proprio mestiere senza alcuna scorta, è evidente la condizione tragica in cui riversa il giornalismo d′inchiesta calabrese.È grazie a questi uomini, quindi, che la Calabria può e deve risorgere.

È grazie alle parole e al coraggio di Antonino Monteleone, Angela Corica, Saverio Puccio, Lucio Musolino, Gianluca Albanese, Michele Inserra, Giuseppe Baldessarro e tanti altri, che molta gente onesta, soprattutto quella calabrese, spera ancora in una vittoria definitiva della legalità e nella sconfitta della criminalità organizzata. Per poter sperare in ciò, però, non basta il sostegno ideale, ma è doveroso che la società intera (a partire dalle istituzioni politiche fino ad arrivare alla gente comune) non si dimentichi né di loro né dei magistrati (a cui sarebbe meglio dare mezzi e non destinare continue accuse e improperi di ogni sorta), né di tutti coloro che si battono, giorno per giorno, in questa lotta che sembra infinita.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org