In Il quinto mondo Jovanotti cantava: “Il PIL: la ricchezza misurata in consumo”. Una frase che fa pensare e ci fa chiedere: di più è davvero meglio? Cioè la ricchezza di una persona, di un popolo è misurabile soltanto come “valore dei beni e servizi prodotti in un’economia in un dato periodo di tempo”? Evidentemente no. Evidentemente, perché la nostra vita non si basa soltanto sul vile denaro. Come recitava un antico adagio “i soldi non fanno la felicità”. Un’evidenza, continuando col gioco di parole che è diventata tale con i sempre più numerosi studi sulla qualità della vita. Ricerche che dimostrano come accanto al tenore di vita si debba anche considerare la qualità della stessa. A tal proposito è interessante osservare i risultati di una ricerca condotta dalle università americane di Yale e della Columbia sull’impatto ambientale delle nazioni. Essa si basa su un indice, l’Enviromental Performance Index, che riassume le informazioni relative a 16 categorie espressive della qualità della vita umana.

Tra queste troviamo quelle concernenti la salute collegata all’ambiente (misura la mortalità infantile, la qualità dell’aria, acqua potabile e condizioni igieniche), la qualità dell’aria, la salvaguardia della biodiversità dell’habitat, la produzione di risorse naturali (il ritmo di taglio dei boschi, i sussidi per l’agricoltura, l’impoverimento delle risorse ittiche). L’ultimo accerta la sostenibilità energetica. Sulla base di questo indice è stata pubblicata una classifica di tutti i Paesi del globo. I risultati sono appunto interessanti. In testa alla classifiche non troviamo i Paesi del G8. Nelle prime cinque posizioni troviamo nell’ordine Svizzera, Norvegia, Svezia, Finlandia, Costa Rica. La grande potenza USA, sesta al mondo per Pil pro-capite si piazza solo alla 39° posizione ben dietro a Italia (24°) e Russia (28°). Dati che sicuramente fanno riflettere perché offrono una prospettiva diversa.

Una prospettiva che tiene conto anche della necessità umana che la cultura del superfluo ha messo ormai da parte. Al di là delle sempliciotte filosofie da bar su buchi dell’ozono, assenza di mezze stagioni, etc., l’EPI è sicuramente uno strumento del quale tener conto. O meglio così dovrebbe essere. Siamo sin troppo scoraggiati per poter sperare che i governi miopi d’Occidente riescano a gettare lo sguardo oltre le prossime elezioni. Ma l’opinione pubblica dovrebbe rendersi conto, almeno per onestà intellettuale e intelligenza, che di più non è poi sempre meglio. Se per raggiungere il lavoro che ci garantisce una remunerazione più che sufficiente prenderemo le peggiori malattie, che ce ne faremo delle nostre migliaia di euro? Che se ne faranno figli ammalati di abbondanti conti bancari?

Penna Bianca –ilmegafono.org